Intervento del Patriarca al Convegno nazionale Uneba “Custodi della fragilità” (Padova / O.I.C. Civitas Vitae “Angelo Ferro”, 16 ottobre 2020)
16-10-2020

Convegno nazionale Uneba “Custodi della fragilità”

(Padova / O.I.C. Civitas Vitae “Angelo Ferro”, 16 ottobre 2020)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

  

 

Saluto tutti i presenti e ringrazio per il cortese invito a questo incontro. La mia partecipazione vuole essere un segno di attenzione e di vicinanza da parte dell’intera Chiesa del Triveneto – che rappresento come presidente della Conferenza Episcopale Regionale – verso persone, enti ed istituzioni che ogni giorno accompagnano, prestano cura ed assistono persone e famiglie nel tempo in cui le persone e le famiglie vivono la fragilità.

Conosco le innumerevoli fatiche e le tante difficoltà che in questi mesi di pandemia si sono aggiunte e quello che hanno comportato e stanno tuttora comportando per le Vs. realtà, sia in riferimento alle possibilità di relazione con i pazienti e con le loro famiglie, sia per quanto concerne le questioni professionali e lavorative legate alle diverse figure che operano e sono essenziali nelle varie strutture. Confido che si possano trovare, anche in un proficuo dialogo con le istituzioni competenti, soluzioni e risposte adeguate e dignitose per tutti.

Il tema del Convegno Nazionale “Custodi della fragilità” dice bene, anzi, fotografa esattamente la vostra vocazione che affonda spesso le sue radici in un contesto umano e territoriale animato e fecondato dalla fede e dalla comunità cristiana. Una fede reale e concreta che si mostra amica dell’uomo e attenta alle sue fragilità.

La vostra, come tutte le vocazioni, presuppone un impegno e un compito specifico da rinnovare giorno dopo giorno, in un confronto aperto con le esigenze e gli imprevisti imposti dalla quotidianità. Tutto questo, nella situazione attuale, risulta evidente in modo chiarissimo.

La fragilità riguarda, di certo, in modo marcato situazioni specifiche della vita dell’uomo, ma non dobbiamo dimenticare che la fragilità è dimensione che appartiene, in modo intrinseco, alla nostra umanità, come ci ricorda il libro dei Salmi. Ne richiamo uno, il Salmo 144: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa” (Sal 144,3s).

I salmi ripropongono – giova ribadirlo – non solo la ragione / saggezza divina ma, all’interno di questa, contengono anche e sempre la ragione /saggezza umana, una visione di Dio, dell’uomo, della vita, della salvezza.

Per l’uomo tornare a prendere coscienza dei propri limiti e della propria fragilità non significa esser meno uomo ma percorrere la strada che lo conduce ad essere veramente uomo, alla gioia e alla libertà di “scoprirsi” creatura. Saper accettare il proprio limite, attraverso la sperimentazione dei propri limiti, è in realtà la cifra di una sana e matura umanità in armonia con sé, con gli altri e con Dio.

Sì, la nostra “realtà” di uomini è fatta anche di “fragilità”; per questo è importante esserne consapevoli – a livello personale e come società – poiché solo così può scaturire un’antropologia, una convivenza civile e uno Stato sociale (non assistenziale) che pone l’uomo concreto – e, quindi, con tutte le sue fragilità – al centro dell’agire culturale, sociale e politico.

Se ce ne eravamo dimenticati o, illusi, o se pensavamo di essercene liberati – per il procedere della tecnoscienza, sicuri d’essere pressoché invulnerabili e al riparo da ogni rischio – ci ha pensato Covid-19 a riportarci bruscamente alla dura realtà e a far venir meno l’illusione di creare una società capace di provvedere una protezione onnicomprensiva o una garanzia “assicurativa” totale nei riguardi di ogni rischio e di ogni evenienza.

Ci siamo, invece, riscoperti “impastati” di fragilità e ancora vulnerabili. E allora questo èun tempo privilegiato per ripartire almeno in modo parzialmente nuovo, riflettendo seriamente su chi siamo, sulle nostre relazioni e sui nostri rapporti sociali ed economici, come anche riscoprendo gli elementi fondamentali della nostra società e i principi sui quali si fonda la nostra convivenza civile.

Accanto e oltre alla competitività, all’efficienza e alla corsa alla performance, una società sana e lungimirante ha bisogno di poter contare su una ricchezza più equamente ridistribuita (attraverso una più equa leva fiscale), sulla centralità e dignità intrinseca della persona umana che va riconosciuta in quanto tale, sulla tutela della vita sempre e soprattutto quando è più fragile (dal concepimento al naturale venir meno), con un sistema di welfare che tuteli tutti i cittadini incominciando dai più fragili, nel rispetto e nella salvaguardia del creato e secondo un progetto di sviluppo sostenibile e di ecologia umana integrale. In una parola, avendo più a cuore il bene comune, che è bene di tutti e non solo una somma di beni individuali o il bene della maggioranza.

Possiamo e dobbiamo, dunque, essere sempre più “custodi” della fragilità e consapevoli di essa. La fragilità è, innanzitutto, parte costitutiva dell’essere umano e, quindi, “nostra” (di tutti); poi si realizza in molteplici e specifiche forme (anziani, malati, disabili) che interpellano, con specifiche e mirate domande, il nostro tessuto sociale.

Concludo affidando ai lavori di questo Convegno Nazionale (e anche alla più ampia Vs. azione quotidiana) una bella suggestione che arriva dall’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, uscita pochi giorni fa, all’inizio di ottobre.

Ad un certo punto, nel testo, il Papa osserva con un tocco di amarezza: “Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente” (Papa Francesco, Lettera enciclica “Fratelli tutti”, n. 64).

Ecco che, soprattutto per chi ha compiti di responsabilità, il Papa – nella stessa enciclica e riprendendo quanto aveva già detto in un discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo – riafferma che è indispensabile avere «cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. […] Significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità» (Papa Francesco, Lettera enciclica “Fratelli tutti”, n. 188).

Credo che tali considerazioni del Papa possano offrire spunti utili per dare un’anima etica ad ogni intervento ed azione sul fronte della fragilità e, pur essendo destinate a più largo raggio, valgono certamente in modo particolare per voi tutti.

Vi auguro buon lavoro e, insieme, di avere tutti quella saggezza, quella responsabilità, quell’amore nei confronti del bene comune ed anche quella capacità di discernimento necessaria per riuscire – ciascuno per la sua parte – ad “ungere di dignità” il presente, il lavoro di ogni giorno e le relazioni, anche le più piccole, con ogni persona e in ogni ambito e momento della vita.