Intervento alla Veglia diocesana per la vita “Solidali per la vita” (Chiesa parrocchiale Cuore Immacolato di Maria - Mestre, 31 gennaio 2015)
31-01-2015
Veglia diocesana per la vita “Solidali per la vita”
(Chiesa parrocchiale Cuore Immacolato di Maria – Mestre, 31 gennaio 2015)
Intervento del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Ringraziamo, innanzitutto, il Signore che ci ha fatto venire qui questa sera. E’ importante che, in una comunità, ci sia qualcuno che si mette in gioco per la vita. Per la vita in quanto tale. Non semplicemente per qualcuno, ma per la vita. Dovremmo, perciò, liberarci da alcune immagini che appartengono alla nostra cultura indotta dai mezzi di comunicazione. La vita ci interessa sempre, la vita ci interessa comunque. Non qualche vita, non qualche situazione di emergenza, ma tutta la vita dal suo accendersi al suo spegnimento.
E’ facile cadere – come ci ricorda frequentemente Papa Francesco – in una sorta di “globalizzazione dell’indifferenza”; ormai siamo abituati alla sofferenza degli altri. Certe notizie tragiche, drammatiche, devastanti – che ci vengono portate in casa mentre noi consumiamo il nostro cibo – talvolta non ci toccano nemmeno; dobbiamo quindi reagire a quell’indifferenza che, magari, non è voluta.
Qualcuno ha detto una volta che il conoscere, il sapere, ci grava di una responsabilità ed allora noi dobbiamo far riecheggiare di più – sempre ripetendo e richiamando il pensiero di Papa Francesco – quella domanda che Dio pone all’umanità: «Dov’è tuo fratello?». E a questa domanda è facile rispondere come Caino: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (cfr. Gen 4, 9).
Succede tutte le volte in cui noi cadiamo in una sorta di indifferenza nei confronti della vita, soprattutto là dove la vita è più fragile, là dove la vita subisce dei contrasti ideologici e ci sono dei momenti in cui si mettono in opposizione situazioni personali differenti… Di fronte alla vita bisogna invece rimanere aperti a 360° ma, soprattutto, quello che è necessario fare – ciò che le nostre comunità devono fare – è una maturazione culturale sulla vita: il sapere, il conoscere ed anche il fare qualcosa.
Nelle nostre comunità – piccole o grandi che siano – ci deve essere una sensibilizzazione al rispetto della vita fin dall’età dell’adolescenza. Il rispetto della vita inizia da un modo particolare di guardare la paternità e la maternità. Paolo VI ce lo ha ricordato: rispetto della vita, sempre. L’uomo non è arbitro, è servo della vita attraverso una paternità e maternità responsabili. Accoglienza della vita, rispetto della vita, servire la vita!
Dobbiamo fare in modo che, nelle nostre comunità, certi temi non siano passati sempre sotto silenzio. Ci sono dei temi, infatti, circa i quali il silenzio è fragorosissimo: il rispetto della vita, la promozione della vita, l’accoglienza della vita sempre.
Nelle nostre comunità, soprattutto, bisogna promuovere la cultura della vita, insegnare ai nostri ragazzi che esistono anche degli interventi economici e finanziari (ma non solo) che possono aiutare – insieme ad altri – a fare in modo che chi è in difficoltà e vuole accogliere la vita lo possa fare. I progetti, certo, possono poi essere frazionati e ci si può anche far carico di una piccola cifra nelle famiglie, a livello di singole persone o di gruppi ecclesiali.
Conoscere ci grava di responsabilità. Chi conosce, chi sa, è chiamato a fare in modo – come abbiamo ascoltato nella prima lettura (tratta dalla seconda lettera di Giovanni) – che la verità ci accompagni passo dopo passo. L’insistenza sulla verità: la verità della vita non è un’opinione, non è un’ipotesi scientifica; noi sappiamo che la vita esiste ed esiste fin dal concepimento.
Mi sono molto rallegrato – diceva la lettura – di aver trovato alcuni tuoi figli che camminano nella verità, secondo il comandamento che abbiamo ricevuto dal Padre” (2Gv 4). E poi terminava dicendo: “Questo è l’amore: camminare secondo i suoi comandamenti. Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell’amore” (2Gv 6). Guai se noi non teniamo insieme il Dio della verità ed il Dio dell’amore! Quante volte ci capita di mettere in alternativa la verità e l’amore! Se dico questo, dico la verità e allora non amo… Se amo, devo tacere la verità… Ci dimentichiamo, invece, quello che san Paolo dice: la carità si compiace della verità, la carità va fatta nella verità.
La cultura cristiana sulla vita – ma anche su tutte le tematiche – è proprio la sintesi di questa visione del Dio logos, del Dio verità: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1, 1). Dio è questa verità, è questa sapienza, è questa progettualità, è il significato che hanno le cose, è la verità delle cose. Lo stesso Giovanni, poi, dice: “Dio è amore”. La cultura cristiana è tenere insieme la verità detta con amore e l’amore praticato, vissuto e condiviso nella verità.
La vita non dovrebbe essere mai un tema che divide e vede contrapposti gli uomini, perché la vita non appartiene ad una cultura; non può essere retaggio unico di una fede. La vita la condividiamo con tutti. Fa molto riflettere, sulla nostra situazione umana, il non riuscire a trovare un accordo generoso, vero e condiviso su un valore così universale come quello della vita. Abbiamo diritto noi – come uomini – di decidere quando la vita umana è degna o indegna? Abbiamo il diritto noi uomini di decidere quando altri uomini possano essere considerati uomini o non debbano essere considerati uomini?
Se l’etica personale, se l’etica di una comunità coincide con le leggi… allora quante leggi hanno offeso, nella storia, gli uomini? Ad un certo punto, negli Stati Uniti d’America, ci si è ribellati – anche da un punto di vista legale – nei confronti della schiavitù. Alcuni uomini si arrogavano il diritto di dire che altri uomini non erano pienamente uomini, non erano uomini come loro. E il giudizio che fu dato è questo: un uomo è un uomo, sempre!
Trasportiamo questa osservazione, questa valutazione, questo giudizio di valore sulla vita: la vita è vita, è sempre vita! Non diventa degna o non degna a seconda della caratterizzazione storica, sociale, culturale, razziale o religiosa di chi mi viene incontro ed è uomo.
La vita cristiana ci chiede di pensarci come amministratori del dono grande della vita e di cui un giorno – ricchi o poveri che siamo, famosi oppure sconosciuti – dovremo rendere conto a Dio. Non ripetiamo in quell’incontro così importante e fondamentale per noi, l’incontro con Dio, la risposta di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9).