Seconda lettera del Patriarca in occasione dell’Anno della Fede: “La fede cristiana in un contesto di secolarizzazione diffusa”
Lettera
La fede cristiana in un contesto di secolarizzazione diffusa   

 

‘Se il sale perde il sapore a null’ altro serve che ad essere gettato via’ (Mt 5,13)

 

           

 

 

Carissimi,

 

vi scrivo ancora una volta in questo Anno della Fede e, guardando ai molti che s’impegnano in una vita cristiana sempre più corrispondente al Vangelo, lo faccio con vera gioia e gratitudine al Signore.

 

In questo mio secondo scritto intendo condividere alcune riflessioni su un tema importante per la nostra Chiesa che è in Venezia, vale a dire la fede professata con umile fierezza e con gioia in un contesto di secolarizzazione diffusa.

 

 

1.      Gli occhi della fede

 

Nel 2001 il giornalista Peter Seewald poneva all’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, una domanda che riprendeva una precedente affermazione del cardinale il quale sosteneva che, se un uomo vive basandosi solo su ciò che materialmente vede, cade allora in una profonda cecità.

 

In tale circostanza il cardinale coglieva l’occasione per precisare ulteriormente il suo pensiero con queste parole: ‘Allora (l’uomo) limita il proprio orizzonte al punto che gli sfugge l’essenziale. Non vede neppure il proprio raziocinio. Proprio le cose’ portanti non possono essere viste solo con gli organi sensoriali, e da questo punto di vista non vede ancora adeguatamente, se non è in grado di guardare oltre ciò che è immediatamente percepibile‘ (Dio e il mondo. Joseph Ratzinger in colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Alba 2001, pag. 18).

 

Gli occhi della fede è il titolo di un breve saggio di Pierre Rousselot edito, originariamente in forma di articoli, nel 1910 ed oggi considerato un classico della teologia. Questo libro può aiutarci a capire quanto sia importante avere chiara consapevolezza e fondate motivazioni circa il proprio atto di fede, soprattutto in un contesto di secolarizzazione diffusa come l’attuale.

 

L’atto di fede è presentato in modo da accordare fra loro conoscenza ed essere, conoscenza e fede, fede e libertà; dove la conoscenza non è intesa intellettualisticamente e razionalisticamente, ma come capacità d’aprirsi all’altro, di andargli incontro e così ritrovare anche se stessi. Questo ‘altro’, in ultima istanza, è il Tu di Dio, per il quale l’intelletto umano è creato.

 

È significativo il seguente passo che troviamo alla fine dello scritto: ‘Abbiamo insistito a sufficienza sul ruolo degli indizi estrinseci’ Ciò che manca alle prove sono piuttosto le intelligenze, e si può riprendere qui ciò che sant’Agostino dice commentando la pagina evangelica: Niente è privo di significato, in ogni cosa c’è riferimento; basta, però, saperlo cogliere‘ (P. Rousselot, Gli occhi della fede, Milano 1977, pag. 106).

 

L’analisi puntuale, svolta nel testo, favorisce una riflessione e un ripensamento sulla possibilità dell’atto di fede nel suo rapporto con la grazia; un tema che oggi risulta utile nel contesto di una cultura  marcatamente secolarista in cui, con rinnovato entusiasmo, siamo chiamati a fornire le motivazioni della nostra fede (cfr. 1Pt 3, 15-16).

 

La fede è la capacità di vedere secondo una dimensione più vasta e profonda che introduce l’uomo nella realtà a partire da una verità più grande; ciò consente di partecipare alla sapienza che dà all’uomo il gusto delle cose di Dio. Il vero, il buono e il bello ci vengono consegnati attraverso lo sguardo più ampio, più ricco e penetrante della fede che dona a chi crede una maggiore libertà.  

 

Da qui partiamo per incamminarci verso una riflessione sulla fede che oggi – nei nostri contesti culturali – deve confrontarsi con una situazione di forte secolarizzazione, con un mondo sempre più globalizzato, all’interno di società dette ‘liquide’; la società ‘liquida’ si caratterizza – secondo il sociologo polacco Zygmunt Bauman – per il  continuo mutamento; essa cambia così repentinamente che le sue modalità d’azione non riescono a consolidarsi in abitudini e procedure (cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Bari 2008, pag. VII).

 

 

2. La città, spazio di ‘umanità’

 

Il libro della Genesi attribuisce a Caino la costruzione della prima città a cui egli dà il nome di suo figlio Enoch che significa ‘dedicazione’ (cfr. Gen 4, 17).  Nella Sacra Scrittura la città, nel suo costituirsi, segna un momento particolare non solo per la vita di un popolo ma per l’intera storia della salvezza e, quindi, la città è portatrice di un messaggio che riguarda la salvezza di tutti gli uomini…

(Il testo integrale della seconda lettera è nel file allegato in calce)

06-02-2013