Tavola rotonda: intervento di Paola e Luca Antonelli

Assemblea ecclesiale, Venezia 10 aprile 2005
Luca Antonelli – Paola Dalla Valle, Testimoni di Gesù Cristo risorto nella realtà diocesana: una lettura sapienziale.
1. Dalle testimonianze alla testimonianza
Il nostro intervento dà voce alle testimonianze, che sono la vera espressione della diocesi come ekklesìa, come comunità dei chiamati in Cristo. Un filo rosso le lega tutte, pur essendo assai diverse tra loro: esse derivano da un incontro concreto con il Risorto . Senza la resurrezione di Gesù, quindi, non esiste testimonianza. L’importanza e la forza di questa affermazione emergono da un passo di S. Paolo: ‘Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede’ (1Cor 15, 14). La resurrezione di Gesù è dunque il fulcro della nostra fede: questo evento, accaduto in un momento preciso della storia umana, si ripete ogni domenica nella nostra storia di singoli e di comunità. La resurrezione di Gesù cambia ogni prospettiva con cui guardare alla vita presente. Cristo è risorto, annuncia la Chiesa d’oriente a Pasqua; è veramente risorto, risponde tutta l’assemblea, testimoniando un incontro che è realmente avvenuto nella vita di ciascuno. Il primo testimone, il testimone per eccellenza, è Gesù stesso che di fronte a Pilato afferma: ‘Io sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce’ (Gv 18, 37). A questo punto ci risuona nelle orecchie la domanda di Pilato, che tante volte è anche la nostra: ‘Che cos’è la verità?’ Essere della verità significa riconoscere il paradosso di un Dio fatto uomo, che si presenta Egli stesso come ‘Via, Verità e Vita’ (Gv 14, 6). Dunque come tramite per la Verità e sorgente di una vita che va oltre quella storica. Eppure la testimonianza di Gesù alla Verità avviene nella storia: quando Egli appare ai discepoli, dopo la sua resurrezione, chiede da mangiare del pesce, quasi a rassicurarli che è ancora uno di loro, che come loro vive all’interno della storia (Lc 24, 41).
Un’altra importante considerazione che ci viene dalla lettura delle testimonianze è che non siamo tutti uguali. Gli incontri con Gesù Risorto di cui ciascuno ha parlato e le esperienze di fede che ne scaturiscono sono tra loro molto diverse: sono il frutto di cammini singolari, ciascuno caratterizzato da una sensibilità particolare. L’esperienza di Gesù risorto può scaturire da un evento straordinario o inaspettato della vita, ma altre volte avviene come frutto del progressivo disvelarsi di una presenza che ha comunque accompagnato, con maggiore o minore chiarezza, i vari tempi della nostra esistenza. Ciascuna di queste esperienze interroga la nostra libertà e si traduce poi in una risposta e in un cammino di fede differente: c’è la militanza nei movimenti, il servizio nella carità, la vita dedicata alla preghiera, l’impegno nella comunità civile, solo per citare alcune delle situazioni che le testimonianze ‘fotografano’. Le diversità a volte mettono paura. A volte sembrano di uno spessore tale da rendere faticoso il sentirsi parte di uno stesso corpo e il lavorare e vivere dentro un’unica Chiesa; occorre secondo noi trovare una chiave per viverle in modo non conflittuale. Ancora una volta la via ci può essere data proprio dalle Scritture. Ogni incontro con il Gesù Risorto è caratterizzato dalla singolarità: Tommaso non sa accontentarsi del racconto entusiasta dei suoi amici cui Gesù è apparso, ma vuole toccare e vedere per essere sicuro di stare alla presenza di Gesù (Gv 20, 24-28). Saulo, impegnato ad organizzare una persecuzione sistematica e capillare dei primi cristiani, sarà folgorato da una visione, sbattuto per terra e reso cieco, costretto a fidarsi di chi lo accompagna e ad attendere che gli sia nuovamente concessa la vista (Atti 9, 1-19). In effetti questa è l’infinita grandezza dello Spirito che opera nella Storia, dialogando con la nostra libertà. Questa è la modalità con cui l’Infinito ci viene incontro e si fa percepire come tale: lo possiamo riconoscere a partire dall’esperienza di ciascuno di noi, ma nessuna delle nostre esperienze lo esaurisce completamente. Se crediamo in questo allora le nostre diversità non sono ostacoli, ma dono e grazia perché negli altri e attraverso gli altri, la loro testimonianza, abbiamo la possibilità di conoscere un volto con cui Dio ancora non ci si era mostrato .
Infine ci pare importante sottolineare come il più delle volte un incontro con Gesù risorto parte dal bisogno dei fratelli che ci interpella . Ciò non significa naturalmente che l’incontro non possa avvenire, in tutta autenticità, in una dimensione intima: ma spesso Gesù si propone alla nostra libertà provocandoci e interpellandoci attraverso l’immagine di un altro che ‘vuole qualcosa da noi’. Visto con gli occhi della Samaritana Gesù è un uomo seduto accanto a un pozzo che le chiede semplicemente da bere: è attorno a quella richiesta materiale, banale, che si sviluppa poi la discussione e il contatto profondo fra i due (Gv 4, 7). Visto con gli occhi di Zaccheo Gesù è un uomo importante che passa: lui sale sul sicomoro per vederlo meglio, forse nella speranza di non essere visto. E Gesù lo interpella con una richiesta, lo fa uscire allo scoperto, costringendolo ad assumersi l’onere di una scelta: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’ (Lc 19, 5). Nella nostra risposta al bisogno, alla richiesta con cui l’altro ci viene incontro è in gioco la possibilità che la nostra storia concreta sia, da Gesù, trasformata in una storia di conversione e di fede. ‘La Samaritana lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: ‘ Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto ”; ‘Zaccheo alzatosi disse al Signore: ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto’.
Se l’incontro parte dal bisogno dell’altro è vero anche che il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù risorto, oggi, è il nostro rapporto con i fratelli, soprattutto con quelli che hanno bisogno. Nell’incontro con l’altro avviene il superamento della nostra singolarità individuale, l’uscita dal vincolo di essere uno rispetto a tutti gli altri. Solo nella morte della nostra singolarità arriviamo a Gesù, che ci restituisce il nostro io ‘trasfigurato’. ‘Se il chicco di grano non muore rimane solo; ma se muore produce molto frutto’ (Gv 12, 24). Il frutto di questa morte è la resurrezione: ‘Se lo Spirito di Colui che ha resuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha resuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi’ (Rm 8, 11). La resurrezione dei corpi, che Gesù ci promette, sarà la resurrezione della nostra singolarità trasfigurata, in un rapporto dialettico con l’unità della comunione in Dio.
2. La Diocesi di Venezia e le sfide del futuro
A partire da tali riflessioni, suscitate in noi dalla lettura delle testimonianze, ci siamo chiesti quali possano essere, per i cristiani della Diocesi, alcuni dei luoghi privilegiati o, per così dire, i terreni della sfida sui quali, a partire da un incontro con l’altro cercato e coltivato nello sforzo di superare la propria individualità, possiamo sperimentare e testimoniare l’incontro con l’Altro per eccellenza, cioè con Gesù risorto.
Una prima sfida è per noi quella della vita familiare. Tante delle storie di fede che abbiamo letto sono frutto di esperienze di famiglia come luogo in cui si sperimenta il dono di sé, il superarsi per dar vita a qualcosa di nuovo e grande. Ci accorgiamo però che il matrimonio cristiano e la famiglia che a partire da esso si forma non sempre è oggi un valore condiviso. Da un lato non si può negare che, nella nostra società, molti giovani preferiscano, per comodità, per pigrizia, magari quando possono contare sull’aiuto economico delle famiglie di provenienza, temporeggiare su un’interminabile soglia prima di assumere decisioni mature, responsabili e radicali. Sposarsi, quando lo si fa, significa aver prima raggiunto la tranquillità economica, un determinato standard di vita, l’aver superato ogni dimensione di precarietà e di rischio. Dall’altro, l’unità di tante coppie si infrange al sorgere delle prime difficoltà, quando c’è bisogno di far spazio all’altro, ai suoi bisogni, alla sua insopprimibile diversità e ciò, tante volte, per l’incapacità di arrendersi alla dimensione del seme che muore per portare frutto. Noi crediamo che la scelta del matrimonio e la promessa ‘ possibile solo in Cristo ‘ di un amore fedele a qualunque costo rappresenti una testimonianza di cui il mondo, anche nel nostro ambito diocesano, ha profondamente bisogno. Occorre però la consapevolezza che la sfida, oltre che esaltante, è impegnativa e faticosa. La nostra Chiesa ha il dovere di educare a ciò. la preparazione dei fidanzati al matrimonio è sicuramente una realtà viva nella nostra Diocesi, che è maturata negli anni, grazie alla sensibilità dei nostri pastori, il patriarca Marco prima, ed ora il patriarca Angelo. Crediamo non si debba temere di proporre con autorevolezza il valore del matrimonio, custodendo questo dono con una certa ‘gelosia’, anche a rischio, per così dire, dell’impopolarità, richiedendo a quanti vi si avvicinano la coerenza e il coraggio di una scelta non estemporanea, ma davvero duratura. Altrettanta attenzione va rivolta alle coppie anche dopo il matrimonio, quando le mille incombenze della vita familiare rischiano di soffocarne il respiro, facendole magari sentire marginali rispetto alla vita della Chiesa. La pastorale degli sposi ‘ come specifico aspetto di quella rivolta ai laici adulti ‘ deve essere una preoccupazione costante delle nostre comunità. È davvero importante che gli sposi siano provocati ad un cammino continuo che deve secondo noi avere due direzioni. Da un lato esso deve guidarli al discernimento della presenza di Gesù risorto all’interno delle esperienze concrete e feriali di cui è fatta la vita di ogni famiglia: l’educazione dei figli, il complesso intersecarsi di rapporti con e nella comunità civile, l’elaborazione di uno stile di vita consapevole, sobrio, rispettoso. Tutti ambiti che acquistano il loro senso più vero soltanto in Lui e rappresentano la modalità in cui gli sposi concretizzano il loro ministero particolare. Nello stesso tempo gli sposi vanno accompagnati alla ricerca di spazi per la preghiera e per la maturazione nella fede, come persone, come coppia, come genitori; in modo che il nostro cristianesimo non rischi mai di inaridirsi, trasformandosi nel semplice rispetto di un codice etico. Infine non si deve dimenticare il grande numero di famiglie che vive al proprio interno una situazione di crisi, di lacerazione e al limite di dissoluzione: verso queste realtà la Chiesa è chiamata ad essere prima di tutto madre e madre misericordiosa, offrendo ascolto e sostegno a chi vive questa difficoltà, nonché accoglienza a chi bussa chiedendo di essere accolto.
La seconda sfida è quella della vita ecclesiale. Di fronte a tante forme di religiosità privata e personalistica che convivono nella nostra società, crediamo sia necessario ribadire con forza che il primo luogo in cui realizzare l’incontro con Gesù risorto è la comunità ecclesiale: è la Chiesa, con tutti i suoi limiti che sono anche i nostri, che ogni giorno, nell’Eucarestia, ci dona Gesù risorto. Siamo anche convinti che l’esperienza ecclesiale parta e si nutra prima di tutto della realtà della Parrocchia, che è stata e continua a essere, almeno nel nostro territorio diocesano che non ospita nuclei urbani di dimensioni enormi, il centro fisico della vita cristiana. Di fronte alla nascita di tanti movimenti e associazioni che costituiscono oggi la risposta alla multiforme chiamata dello Spirito la Parrocchia deve porsi come uno spazio unitario, una comunione di comunità che costituisca il riferimento primo e comune per tutti i cristiani che vivono sul territorio. Certo non ci si può più accontentare di questo spazio, perché le esigenze della nuova evangelizzazione richiedono che in particolar modo il laico raggiunga con la sua testimonianza il mondo in cui è immerso per gran parte della sua vita quotidiana. Ma la Parrocchia, in questa società in cui prevalgono le forze centrifughe, dev’essere un luogo a cui si torna per riposare, come si torna a casa la sera, dopo una giornata di lavoro. Crediamo perciò che valga la pena, anche di fronte a un mondo sempre più parcellizzato, di tener vive con il massimo degli sforzi delle comunità che siano luogo di ricarica spirituale e spazio di condivisione fraterna. Perché si veda all’esterno che i cristiani, in virtù della forza che deriva dall’eucarestia domenicale, sono in grado di vivere davvero da fratelli in Cristo.
La terza sfida è quella del dialogo culturale con il mondo che ci sta attorno. Non possiamo permettere che, nella discussione attorno ai temi più scottanti della realtà contemporanea, la nostra Chiesa sia assente. Il nostro Patriarca ha fatto grandi sforzi per promuovere la crescita di una realtà cristiana che possa partecipare in modo qualificato al dibattito filosofico e politico contemporaneo; ne è esempio l’esperienza dello Studium Generale Marcianum, che si avvia a diventare un fulcro culturale della massima importanza nel panorama veneziano. Altrettanto, la nascita della rivista Oasis si propone di creare uno strumento di comunicazione fra i cristiani dell’Occidente, del Medio e dell’Estremo Oriente e dell’Africa, nel loro sforzo di interazione con altre religioni. E il dialogo deve partire da un costante atteggiamento di ricerca della Verità, frutto della convinzione profonda che lo Spirito opera in tutti gli uomini, interloquendo costantemente con la loro libertà. Il dialogo, perciò, presuppone l’apertura all’Altro, la disponibilità a incontrarlo sui terreni in cui egli si lascia incontrare. La nostra fede ci chiama a spenderci come il sale nel mondo: che dà sapore, senza per forza far riconoscere la sua presenza. Ma anche come la lucerna sul lucerniere: che brilla con evidenza, senza paura di affermare la propria identità. Crediamo che questa linea di indirizzo possa e debba essere fatta propria anche dai cristiani della Diocesi, a livello di base, nel tentativo di realizzare forme concrete di integrazione della diversità, che partano dall’accoglienza dello straniero che abita in mezzo a noi. Nella nostra realtà esistono già diverse esperienze di questo tipo, frutto della voglia di aprire le porte a chi arriva nel nostro paese per cercare una vita migliore. Su questa strada crediamo occorra proseguire per dimostrare con concretezza l’attualità del messaggio evangelico.