Tavola rotonda: intervento di Ilvo Diamanti

ASSEMBLEA ECCLESIALE TESTIMONI DI GESÙ RISORTO, SPERANZA DEL MONDO ‘SE VUOI ESSERE COMPIUTO’ Il volto del Patriarcato di Venezia Basilica di San Marco, 10 aprile 2005

Intervento del prof. ILVO DIAMANTI (trascrizione non rivista dall’autore ‘ note a piè di pagina a cura del redattore)
Ringrazio anch’io dell’onore che mi viene fatto in un’occasione così importante e, mi pare, assolutamente unica: quella di trovare una comunità nella comunità, una comunità di credenti all’interno di una comunità più ampia che è quella sociale dei cittadini e di farla ritrovare così, visibile, insieme.
Credo che questo sia un buon modo per partire, per cominciare a rispondere al quesito che mi viene posto. A mia volta ponendo un quesito, che è un quesito che ho posto a me stesso: il quesito è circa lo specifico, se esiste, uno specifico della società del NE o di quello che viene definito NE, e all’interno di questo specifico, lo specifico che ha la Chiesa, e che gioca la Chiesa e il mondo cattolico, nel definire e nel delimitare questa società. C’è effettivamente una forte connessione, un forte nesso fra questi due termini e probabilmente anche il cambiamento che noi osserviamo, al quale assistiamo all’interno del NE, ha a che fare con il cambiamento del ruolo cha ha svolto la Chiesa. Il quesito iniziale è: ‘Perché nel NE la Chiesa ha avuto storicamente un ruolo così importante per la società e perché ancora oggi lo mantiene questo ruolo? E perché ancora oggi è in grado di riempire una chiesa a discutere, interrogarsi su sè stessa e sul proprio futuro?’
Io vorrei contribuire a questa importante occasione di riflessione, di autoriflessione, cercando di offrire delle riflessioni, delle valutazioni non consolatorie e quindi che abbiano a che fare molto con la pratica e con l’esperienza. Quella che le testimonianze raccolte nel corso di queste visite pastorali hanno offerto, hanno fornito. Ne ha dato alcuni spunti, ne ha raccolto alcuni spunti molto interessanti il prof. Ornaghi ma anche a me sono giunte assolutamente utili e interessanti. In modo molto secco vorrei dire che ciò che specifica la società del NE, almeno per come è percepita e si percepisce, è probabilmente nel ruolo che ha svolto la Chiesa al suo interno; però attenzione, nel ruolo che ha svolto la Chiesa al suo interno come soggetto che fornisce organizzazione, senso e servizio e che partecipa quindi ai suoi caratteri, qualunque questi siano, positivi e negativi.
Vogliamo definire lo specifico del NE, della società del NE, rispetto ad altre società, per come viene definita, percepita dagli altri e per come si autopercepisce? Provate a pensare perché si chiama ed è chiamata NE? Il NE in realtà è un concetto relazionale, geografico: il NE è Nord e Est. E allora quando uno si definisce NE deve pensare a nord di cosa e a est di cosa. Allora, il NE è a nord di Roma e a est di Torino e di Milano: per questo si chiama NE. Roma è il luogo del potere politico, tradizionalmente, Torino e, in una certa misura anche Milano, sono i luoghi e i centri del potere economico. Ecco: il NE si autodefinisce come il luogo che è la periferia dei centri politici ed economici. E direi che questa definizione fa parte della sua identità, perché? Perché se noi vogliamo caratterizzare la società del NE rispetto alle altre, anche in passato, noi la caratterizziamo per la sua distanza dal potere, per la sua critica e per il suo distacco dallo stato. Il NE è storicamente il luogo dove noi rileviamo e registriamo i più bassi indici di fiducia nello stato centrale e anche nelle istituzioni nazionali. E’ anche il luogo nel quel ritroviamo e individuiamo i più bassi indici di fiducia nei confronti ‘ pensate, una realtà come questa ‘ delle grandi imprese, non dell’impresa in quanto tale, che è costitutiva di questa identità, ma delle grandi imprese. E’ il luogo che si pensa periferico e dalla periferia ambisce a sfidare il centro e a conquistare il centro.
Quali sono però gli elementi attraverso cui si struttura questa identità, questo carattere del NE? Storicamente ci sono almeno tre elementi che partecipano a definire e a delineare lo specifico sociale del NE e la Chiesa svolge rispetto a tutti questi un ruolo fondativo.
Il primo è il lavoro. Il lavoro in quanto tale, proprio come attività costruttiva, produttiva. In fondo, parafrasando Max Weber , noi possiamo dire che qui assistiamo al trionfo dell’etica del micro-capitalismo, della piccola impresa che è fondata, evidentemente, su un’identità cattolico-comunitaria. Questa non è l’etica protestante che fonda lo spirito del capitalismo, questa è l’etica cristiana fondata sulla piccola comunità locale e sul lavoro ‘autonomo’, un tempo contadino, oggi artigiano e di piccola impresa, che si sviluppa: sono strettamente legate, connesse. Il lavoro: il lavoro è fondativo dell’identità di quest’area che fatica, fatica e fatica e fa della fatica quasi un proprio carisma e anche un proprio stigma. Per altri i veneti sono lavoratori, i friulani sono lavoratori, i trentini sono quelli che lavorano, ma non sono ‘ questo è il problema ‘ padroni, lavorano per gli altri. Da cui la seconda connotazione e lo spirito e la spinta molto forte di questa società: l’autonomia, al lavoro autonomo, il lavoro autonomo è il lavoro senza padrone, dopodiché normalmente il lavoro autonomo offre il padrone peggiore per chiunque, cioè sé stessi, nel senso che ciascuno di noi è il peggior padrone di sé stesso. L’autosfruttamento del lavoro autonomo non ha paragoni con l’altro tipo di lavoro che conosciamo. Quindi il lavoro.
Il secondo è la comunità. Questo è un luogo fatto di comunità. Il policentrismo: vuol dire che so bene che sto a Venezia, questa è la diocesi di Venezia, però Venezia non è riconosciuta come la capitale del NE, anzi è l’esempio di una società, di una realtà con tante capitali. Certo c’è Venezia ma non c’è solo Venezia è fatta di tante piccole e medie e città, come tante piccole e medie industrie. Il NE non ha ‘le capitali’, ha conquistato ‘i capitali’ nel corso del tempo, ma piccoli, diffusi. Ma non ha ‘le capitali’. La comunità è relazione e mutualità e solidarietà come necessità, come istinto di sopravvivenza.
In terzo luogo la famiglia. La famiglia che è il fondamento del lavoro autonomo, che è il fondamento della piccola impresa, che è il fondamento della trasmissione, della tradizione, nel senso proprio di riproduzione di questi valori, e su cui sono caricati una molteplicità di compiti e che è oltretutto, ovviamente, l’unità fondamentale che attraverso le sue relazioni fonda e forma le comunità locali.
La Chiesa. E impensabile ‘ lasciatemi dare una lettura pratica, non uso altri termini filosofici ‘ è impensabile una presenza come quella attuale oggi in questa sede, di cattolici, di credenti, se la Chiesa non avesse svolto, e evidentemente non svolgesse ancora, un ruolo pratico di vita quotidiana. Cioè la Chiesa è fondativa di tutti e tre questi elementi. Fonda l’etica del lavoro, il lavoro e anche l’idea del lavoro come sacrificio ma anche della relatività del lavoro. Fonda la comunità: è evidente che la Chiesa coincide con la comunità, per lungo tempo, fornisce non soltanto il centro, il campanile, non soltanto l’etica e i valori, la Chiesa fornisce le associazioni, la Chiesa fornisce l’organizzazione, il mondo cattolico È organizzazione della società civile, è previdenza, è patronati, è luogo di ricreazione, appunto, di ricreatori (i bar, le colonie) è assistenza agli anziani, ai giovani, la Chiesa è la comunità in realtà come queste. La Chiesa è anche finanza, la Chiesa è anche banche, piccole banche, piccolo credito, non potete pensare a questa presenza senza immaginare una Chiesa che è anche questo: è strutturazione di questo mondo comunitario. Chiamatelo in altro modo il policentrismo veneto o del NE (policentrismo significa quello che dicevo prima: una realtà che ha molti centri di organizzazione e di sviluppo) chiamatelo ‘campanilismo’, lo chiamiamo ‘campanilismo’, e quando normalmente noi parliamo di campanilismo ne accentuiamo gli elementi negativi, negativi, come dire ‘i vizi’: i veneti hanno 1000 campanili, i campanili sono quasi il centro della comunità; in altre zone si chiama municipalismo, qui si chiama campanilismo.
Ebbene questo che è il quadro di riferimento è cambiato profondamente, soprattutto in 30 anni. Io me la cavo con una battuta: c’è un spostamento forte del centro che dà senso a tutto. Ecco, una cosa importante: perché la Chiesa conta? Per le ragioni che sono state dette da chi mi ha preceduto; soprattutto Lorenzo Ornaghi ha ragione: la Chiesa riempie la vita quotidiana, la comunità, il lavoro, le relazioni di senso, gli dà futuro, e gli dà un futuro senza spiegargli che è, come dire, progetto, perché di per sé la Chiesa, testimone di Cristo, ti parla del futuro, ti dà la speranza, però la speranza entra nella tua quotidianità. Ecco, ciò che avviene nei 30 anni che vanno dal Sessanta al Novanta è il cambiamento di ruolo che avviene all’interno di questi elementi. Diciamo, molto banalmente, che questa società all’improvviso smette di essere periferia e si concentra sul lavoro e sull’impresa che divengono progressivamente il nuovo centro di regolazione e di attività per tutto: quello che fornisce lavoro, valori e ricchezza. Le promesse di autopromozione di questa società si attaccano, si attorcigliano, si aggregano attorno al lavoro. E il lavoro rende liberi? Secondo me provoca e produce un alto tasso di autosfruttamento però produce delle conseguenze molto forti su tutte le altre realtà di cui abbiamo parlato.
Sicuramente trasforma il territorio: il policentrismo sparisce, noi diventiamo un unico, grande agglomerato, non esiste più l’insieme dei campanili, ma i campanili all’interno di una città diffusa che si distende sul territorio. E questo evidentemente mette forte tensione nella società. Cambiano i valori? Certamente, e i valori si strutturano attorno alla centralità del lavoro. Io faccio indagini su questa realtà che viene chiamata NE da 25 anni, forse di più, alcuni accusano me e altre figure come Giorgio Lago ‘ mi piace ricordare anche in questa occasione ‘ di aver inventato il NE: non è vero, noi osserviamo ciò che emerge e magari gli diamo un nome.
Io mi sono accorto davvero di come stessero cambiando le cose quando nel 1995, facendo la mia indagine annuale che faccio in una città per me campione che è quella di Vicenza, con l’Associazione Industriali che allora sosteneva l’iniziativa, sulla lista delle preferenze della fiducia nelle istituzioni e nei soggetti da parte dei cittadini, per la prima volta l’associazione degli imprenditori supera la Chiesa: per due anni avviene così. E ‘ ricordo ancora, eravamo in conferenza stampa ‘ il commento di un imprenditore, che rivolto al presidente dell’associazione industriali gli dice: ‘Veditu? Te si ti el nuovo vescovo di Vicenza!’ Vi rendete conto? È meno banale la battuta di quanto non sembri, significa che in una società che si è secolarizzata, desacralizzata, cresce fortemente la sacralità del lavoro e dell’impresa, per cui quasi la nuova religione, il lavoro, la nuova chiesa, l’organizzazione dei nuovi credenti, cioè gli imprenditori, e il suo vescovo, il presidente dell’associazione industriali.
Sapete cosa c’è nel rapporto fra società e politica dietro questo modello che si è andato consolidando, anche con la sua evoluzione, e che spiega il perché del distacco del NE dei veneti in particolare nei confronti del potere di Roma ma anche di Torino? C’è la convinzione di poter far da soli, c’è la convinzione che la politica non serva, c’è la convinzione che in fondo si sia autonomi: la comunità, il lavoro, l’economia, AUTONOMI. Non abbiamo bisogno della politica, per cui la politica può svolgere una funzione di mediazione in una certa fase della storia, oppure di contrattazione: possiamo scegliere tra i mediatori e coloro che fanno gli altoparlanti della protesta, che gridano. Ma in fondo a noi della politica ci importa poco, noi siamo una società integrata di famiglie, solidali al proprio interno, e di lavoratori: non abbiamo bisogno d’altro. Questa è la logica che sta dietro al NE e questa è la sua forte tentazione e questo è il forte rischio che corre.
La Chiesa. La Chiesa nella trasformazione che va nel dopoguerra risente di questi cambiamenti forti e noi vediamo questi cambiamenti e il segno di questi cambiamenti anche nel declino degli indici classici di religiosità: la partecipazione alla Messa, la pratica sacramentale. La credibilità della Chiesa nella comunità no, quella è sempre rimasta forte e a me piace pensare che ciò non sia soltanto frutto di quella secolarizzazione e di quella laicizzazione prodotta dal cambiamento, figlia dell’urbanizzazione, figlia dell’industrializzazione, perché allora significherebbe che in fondo la religione, l’identità cattolica, la fede cattolica hanno senso soltanto nei luoghi periferici marginali dal punto di vista dello sviluppo, che non ci sia un ruolo, che non ci sia un senso per la comunità dei credenti all’interno di società ad alto tasso di sviluppo e di cambiamento. No, io sono convinto che la perdita di ruolo della Chiesa e anche degli indici di pratica religiosa dipenda anche dal fatto che la Chiesa, che aveva ben accompagnato il passaggio tra la società rurale e la società industriale non riesce a interpretare questo boom, non riesce a interpretare il grande cambiamento, non riesce a interpretare lo sviluppo. E si pone, le sue parrocchie si pongono, di fronte alle sfide del cambiamento, dello sviluppo e dell’industrializzazione e della laicizzazione della città, indifese, hanno paura, lo vivono come una minaccia, si chiudono e guardano al passato, e guardano al passato, hanno paura della città e difendono l’esistenza delle piccole comunità anche quando queste non ci sono più. Hanno paura della trasformazione dell’impresa, dell’imprenditorialità, del cambiamento, della ricchezza, hanno paura del cambiamento e se tu non interpreti il cambiamento non sei credibile, resti tu indietro, resti una testimonianza del passato che passa, non sei più il centro.
Oggi tutto sta cambiando violentemente. A questo si connette anche, a mio avviso, la ripresa di ruolo che sta assumendo la Chiesa. Paradossalmente la crisi di quel modello che ha avuto così successo nel NE restituisce un ruolo anche molto forte alla Chiesa al suo interno. Oggi gli elementi che strutturano quello che è stato ed è il NE sono fonte di tensione e di insoddisfazione, non più semplicemente come in passato di speranza, di fiducia e di autorealizzazione. Il lavoro e l’impresa sono di fatto all’interno di un contesto, di un quadro di forte instabilità, di forte insicurezza, di incertezza.
Ma soprattutto è il legame tra l’impresa, l’economia e la globalizzazione che producono forte insicurezza, nel senso che ci si sente parte delle trasformazioni e delle turbolenze internazionali e questo fa paura. Così le nostre imprese, le imprese di quest’area che vanno oltre confini che non hanno più la capacità di chiudere il nostro territorio come nel passato, generano paura: 70% dei veneti e dei friulani pensano che la delocalizzazione, lo spostare le imprese oltre confine sia un pericolo, anche se in realtà disoccupazione non c’è in quest’area. Non solo, si pensa alla stessa immigrazione, che fa parte della globalizzazione, ne è un faccia della trasformazione e il trasferimento delle persone, come a un pericolo. Si guada all’immigrazione con inquietudine, si guarda all’altro come lo straniero che è a casa tua. Il lavoro: il lavoro e l’impresa è legata al deterioramento del nostro mondo, uno dei più bei territori d’Europa deturpato come pochi. Quando si arriva da Parigi, da Bergamo in poi si vede un unico grande presepe, solo luci. E allora ti accorgi che sei diventato una metropoli, ma sei una metropoli consapevole, perché vige ancora la logica del campanile, dei piccoli paesi anche se i piccoli paesi non ci sono più. E allora la logica è: riconduci l’idea del lavoro, della ricchezza, del prodotto, di quello che hai fatto a un mondo che non ti dà più serenità, non ti dà più certezza. E questo evidentemente colpisce anche la tua comunità, perché il problema oggi, soprattutto del NE, non è lo sviluppo. I tassi di crescita saranno meno alti del passato, ma cosa volete? non si può nemmeno sempre correre, poi spazio non ne abbiamo neanche più, accontentiamoci anche. Diciamo che un po’ meno ricchezza allora, magari un po’ più di declino sotto questo profilo, se è un declino di aspettative, di comportamenti fa bene: sobrietà fa bene.
Però il problema grosso di una realtà come questa è che teme sempre di più per il proprio futuro, si schiaccia sul proprio presente e teme per il proprio futuro: la comunità, il territorio. E’ qui che noi ritroviamo e riscopriamo da un po’ di tempo la ripresa di ruolo molto forte della Chiesa e della comunità ecclesiale.
Ho visto i dati dell’indagine fatta dall’osservatorio socio-religioso, da Sandro Castagnaro, che mostrano come negli ultimi 20 anni non sia calata, qui ad esempio, la pratica religiosa e sacramentale. Non è un caso, questo significa che la pratica religiosa ha tenuto e sta riprendendo soprattutto nelle realtà urbane. E non ha perso peso soprattutto tra i giovani, sta riprendendo spazio tra i giovani. Certo c’è quel vuoto tra i 16 anni e i 30 anni che però c’era anche 20 anni fa.
E perché in realtà sta avvenendo questo, sta riprendendo un suo ruolo la Chiesa? Perché sta dando risposte ai problemi che abbiamo appena rilevato. Perché è tornata a dare risposte a problemi concreti, ad esempio la globalizzazione, la globalizzazione che è fra noi, ci da delle risposte al problema degli immigrati, che non è un problema, è un fenomeno, e va oltre la discussione importante sullo straniero, sulla cittadinanza, sul lavoratore temporaneo perché affronta la questione dell’immigrato come quella della persona. Offre servizi per l’integrazione, lavora per l’integrazione del punto di vista socio-culturale, parla, parla e fa, e opera, non discute soltanto.
Poi, pensate a una questione ampia, che pone incertezza forte tra le persone: la questione della guerra e della pace, la domanda di pace espressa da un movimento molto ampio che ha, non soltanto nelle associazioni, nelle parrocchie trovato nuovi luoghi di aggregazione. Le bandiere della pace, le bandiere arcobaleno hanno riempito i nostri quartieri e sono state acquisite nelle parrocchie. Io ci do un senso che va oltre la questione della guerra in Iraq, almeno due sensi. Da un lato una domanda davvero di pace e di futuro, di un mondo che abbia un futuro, e dall’altra l’altro problema: la domanda di comunità. Noi siamo in una realtà che si è urbanizzata, che si è spaesata, che si è spersonalizzata, dove non ti riconosci: ebbene, vedere queste bandiere appese alle finestre, appese ai balconi, ai davanzali dalle madri e dai figli, non dagli uomini, dalle madri e dai figli (ho fatto indagini rigorosissime), e nel Veneto e nel NE più che in altre realtà italiane, bene, ti dà l’esistenza della comunità, ti fa riconoscere una comunità di valori, di senso, ti dà senso, ti fa riscoprire un territorio che non aveva più un’immagine, ti ricostruisce la comunità.
La comunità (ho i dati, e i tassi di partecipazione associativa e partecipazione ad azioni solidali) è strettamente legata alla pratica religiosa, al più alto tasso, registra i più alti tassi tra coloro che hanno una frequenza alla Messa molto alta. Oggi la ripresa di solidarietà, azioni solidali, mutue, di mutualità, la partecipazione anche al commercio equo e solidale, l’attenzione alla solidarietà con gli altri. E qui c’è una differenza fondamentale con questa solidarietà di stanza che sta spettacolarizzandosi e trovate dappertutto secondo il modello Telethon, quello che a comando susciti sia emozioni, l’improvvisa tragedia che entra a casa tua attraverso la televisione, e poi ti metti a posto la coscienza attraverso magari una raccolta di fondi in televisione, sei lì e non esci di casa tua. No, il volontariato quando si insinua, e si impianta nelle comunità è relazione tra persone, ricostruzione della comunità. La Chiesa trova un ruolo in una società in crisi con sé stessa: ne interpreta l’essere, le necessità di proiettarsi nel futuro. Sotto questo profilo ha un ruolo fondamentale, fa parte della società, permette di andare avanti, di guardare avanti.