L’omelia di Natale del Patriarca Francesco: “Accade l’improbabile: Dio si fa uomo. E ribalta l’immagine di Dio e dell’uomo. Dio si fa carico di tutto l’uomo, di ogni uomo” (QUI IL TESTO INTEGRALE)

“A Natale Dio si fa uomo e assume tutto l’umano. Sì, Dio si fa uomo! E questo ribalta sia l’immagine che l’uomo ha di Dio sia quella che l’uomo ha di sé, ecco la radicale conversione che ci viene richiesta. A Natale accade l’improbabile e sembra una fiaba; troppo bello per essere vero… eppure è vero!”: ha iniziato così la sua riflessione il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia durante la Messa solenne della mattina del giorno di Natale e celebrata, come ogni anno, nella basilica cattedrale di S. Marco a Venezia (testo integrale dell’omelia qui in calce).

“Lasciamo che il Santo Bambino ci guardi e noi andiamo a Lui, come duemila anni fa vi andarono i pastori: è l’unico modo per fare Natale – ha proseguito il Patriarca -. Lasciamo echeggiare in noi le domande sul senso della vita. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il senso della vita? Che cosa c’è dopo questa vita? Esiste la giustizia? Sono domande che ci interpellano e che mettono in questione la nostra umanità. Rimuoverle significa moltiplicare i problemi, non risolverli e, alla fine, rinunciare alla propria umanità. Alcune domande scavano dentro di noi e darvi risposta non richiede solo intelligenza ma anche cuore. Un cuore ben disposto, libero, coraggioso. Certo, anche per il cristiano, il Natale può diventare folklore, pura devozione o consumismo. Il Natale, invece, ha la forza in sé di cambiare sia la nostra vita sia il mondo, salvandoli. A Natale, infatti, Dio si fa uomo e assume tutto l’umano. Sì, Dio si fa uomo! E questo ribalta sia l’immagine che l’uomo ha di Dio sia quella che l’uomo ha di sé, ecco la radicale conversione che ci viene richiesta”.

“A Natale – ha osservato – salta ogni schema e Dio entra in rapporto con l’uomo, in maniera inimmaginabile, come Lui vuole; a Natale Dio va oltre quello che l’uomo può pensare. Dio ci incontra nel modo più umano. L’uomo diventa la passione di Dio e nell’incarnazione Dio incontra l’umanità nel modo estremo, definitivo, totale; tutta l’umanità, ogni uomo, tutti i popoli, ogni cultura. Tutto viene sanato, salvato e reso felice dal Bambino di Betlemme. A Natale realmente, e in modo visibile, scopriamo che l’uomo interessa a Dio e Dio, nascendo bambino, si fa carico di “tutto” l’uomo. “Tutto” l’uomo: concepimento, nascita, vita, morte. Tutto l’uomo entra a far parte della sfera divina; Dio si riveste di carne umana e così assume una storia pienamente umana. Ogni uomo – per quanto dimenticato, per quanto povero, per quanto discriminato – non può però esser espropriato della propria umanità. Potrà esser umiliato e potrà essere violato nel modo più disumano, ma l’uomo rimane sempre tale. E Dio è, alla fine, più forte di ogni ingiustizia e di ogni prevaricazione. A Natale la scelta di Dio colma ogni discriminazione contro l’uomo e ogni popolo. A Natale la vicinanza di Dio ad ogni uomo dimenticato e disprezzato è più forte del crimine più terribile. Per usare l’espressione cara a Papa Francesco: Dio è più forte di ogni tentativo di scarto. Per Dio farsi uomo vuol dire raggiungere tutti gli uomini, nessuno escluso. A Natale Dio raggiunge ogni uomo e ogni popolo, anche i più abbandonati e vilipesi. Non si dà, così, più razza o popolo esclusi dal gesto di Dio. Se Dio si rende presente nell’umanità, allora, nessuno più potrà sentirsi escluso e potrà escludere nessuno; non c’è colore della pelle, non c’è lingua, non c’è cultura, non c’è razza, non c’è continente che non entrino nell’abbraccio di Dio e dei suoi discepoli”.

Per mons. Moraglia, quindi, “siamo invitati a guardare il Bambino – il Dio che si fa uomo – e tirarne le conseguenze, secondo le nostre concrete e reali possibilità: aprirci all’uomo. Accogliere non vuol dire fare ciò che è impossibile ma ciò che è nelle nostre possibilità di fare e questo, ovviamente, ci chiama a responsabilità! Ci sarà chiesto quello che potevamo fare; niente di più, niente di diverso. Così il povero, grazie alla sua povertà, arricchisce il ricco non perché un giorno il povero potrà restituire magari con gli interessi – anzi, probabilmente, non potrà mai restituire… – ma perché, con la sua povertà, dà occasione a chi possiede di compiere gesti di gratuità e benevolenza che lo arricchiscono in umanità ma soprattutto nella carità. La carità è, infatti, la vera ricchezza che permane sia nel tempo sia nell’eternità; il povero, in tal modo, arricchisce il ricco. Gesù viene per incontrarci nella povertà delle povertà, la povertà per eccellenza: il peccato, da cui si origina ogni altra povertà, dentro e fuori dell’uomo… Il Natale, quindi, porta in sé questo paradosso: il povero arricchisce il ricco.

“Nel Natale – ha infine concluso il Patriarca – siamo invitati a incontrare ogni povero con una fede che si fa amore, ossia con opere di misericordia spirituali e corporali. Sì, perché la pienezza della fede è l’amore. A tutti auguro un Natale in cui l’improbabile accada, come duemila anni fa a Betlemme, ossia che la Vergine diventi Madre, che il Figlio eterno di Dio diventi Figlio dell’uomo, che i poveri arricchiscano i ricchi e che i pastori – gli ultimi della scala sociale del tempo – diventino i primi annunciatori di quella che è la notizia per eccellenza della storia”.