Il Patriarca nella festa di S. Marco: “Questioni umane e differenti scelte operative non possono dividere i discepoli del Signore. Chiamati a costruire una cordiale convivenza: Venezia, grande vocazione per la pace”

La vicenda di Marco ci ricorda come anche oggi nella Chiesa – se non è in gioco la Verità – le questioni umane, i differenti modi di valutare le scelte pastorali o le differenze finalizzate a un migliore servizio del Vangelo non debbano intaccare la carità delle relazioni personali. La richiesta dell’amore reciproco – ossia del perdono, della pazienza, dell’accettazione, del dono di sé e questo vale per gli amici, in famiglia, fra le generazioni, nella Chiesa, tra i popoli e le diverse etnie e culture -, stando alla Parola di Gesù, costituisce l’inizio di ogni evangelizzazione poiché tale amore diventa, agli occhi del mondo, il segno certo dell’appartenenza dei discepoli al Signore”: lo ha affermato il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia la mattina del 25 aprile nel corso dell’omelia della messa solenne per il santo patrono Marco, protoevangelista, celebrata nella basilica cattedrale veneziana (testo integrale in calce).

“Le diversità, le differenti scelte pratiche e operative – ha proseguito – non possono dividere i discepoli del Signore; tutto nella Chiesa – se non ci sono, appunto, in gioco scandali nei comportamenti, di ogni tipo e soprattutto nelle persone di Chiesa, o dimenticanze della verità – tutto deve essere vagliato con semplicità, misericordia, sincerità, verità e, alla fine, con volontà di perdono. Tutto, nella Chiesa, si regge a partire dal principio di comunione, nella Verità che è Cristo, in cui è la stessa Chiesa a indicare Gesù come fonte e origine della vera fede; Lui è Colui a partire dal quale le differenti vocazioni ecclesiali – che chiedono d’esser vissute fedelmente – hanno origine e danno la loro reciproca testimonianza”.

Il pensiero del Patriarca si è quindi allargato all’orizzonte del territorio di cui san Marco è patrono ed anche alle attuali vicende del mondo: “Mentre festeggiamo – qui a Venezia – il nostro patrono ed evangelista non possiamo dimenticare quello che accade attorno a noi; rivolgiamo perciò un pensiero di amicizia, fraternità e vicinanza alle comunità cristiane dell’Egitto – che attendono ora la visita del Santo Padre – così duramente funestate da eventi di violenza, terrore e morte, avvenuti in particolare durante la Domenica delle Palme. Non dimentichiamo che, su richiesta del Papa Cirillo VI della Chiesa Copta Ortodossa, nel giugno 1968, in occasione delle celebrazioni per i millenovecento anni dal martirio di san Marco, Papa Paolo VI autorizzò la restituzione di una reliquia (un frammento d’osso) del Santo Evangelista ad Alessandria; questo rende i legami tra le nostre Chiese ancora più stretti. E l’onore che abbiamo noi veneziani di conservare, nella sua sostanziale interezza, la preziosa reliquia del corpo di san Marco deve quindi farci sentire maggiormente consapevoli della fratellanza cristiana e renderci solidali con chi è stato colpito così duramente”.

Richiamando i contenuti dello stemma marciano che caratterizza la Chiesa e la città di Venezia, come un tempo la Serenissima, il Patriarca ha quindi osservato: “Il leone col Vangelo, che richiama la pace: questa è la grande vocazione di Venezia, oggi, soprattutto in questo periodo in cui l’allerta per la sicurezza è alta e siamo grati per questo alle nostre autorità e forze dell’ordine. Ma noi vogliamo essere sempre uomini e donne di pace, al di là delle dovute forme di sicurezza. Per intercessione dell’evangelista Marco chiediamo – in questo tempo in cui, per il fenomeno delle migrazioni, Oriente e Occidente s’incontrano anche all’interno delle mura cittadine – che le differenti etnie e culture che vivono nella nostra città e nel nostro territorio sappiano incontrarsi, considerando che “tolleranza” e “amore per la verità”, “pluralismo” e “passione per i valori”, per le sane tradizioni, sono tutt’altro che in contrasto fra loro. Siamo chiamati a costruire il bene della città nel rispetto del territorio, della sua cultura, della sua storia e, certamente, della legalità, del bene comune e, quindi, di una vera cordiale convivenza”.

Ed ha così concluso: “Da una parte vi sono i fatti della storia e della recente cronaca – il ricordo vivo dello scampato attentato a Rialto -, dall’altra l’impegno di tutti – anche a partire dai bambini, che vanno educati a questo – a favore della responsabilità e del bene comune che ha bisogno non di paura ma di sicurezza e legalità, per non cedere alle differenti derive. Tutto oggi si presenta con un volto sempre più “plurale”. Il nostro oggi, il nostro mondo, ha bisogno di riscoprire quella sana laicità che dia a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Incominciando col riconoscere Dio come tale, senza  appropriarsene per propri fini. Ma riconoscere Dio vuol dire rispettarlo incominciando da chi ne è l’immagine, ossia l’uomo. Dio è, infatti, il Dio della vita ed è una vera e propria bestemmia pensare di uccidere nel suo nome. San Ireneo ci ricorda sempre che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”. Questo è il messaggio ultimo del Vangelo cristiano, che inizia proprio dal Protovangelo di Marco. E ciò va ribadito anche alla luce degli ultimi drammatici avvenimenti. Pax tibi Marce evangelista meus! A tutti auguro una solennità del santo patrono in cui ci si possa “ritrovare”, come donne e uomini contenti del tempo che si è chiamati a vivere”.