Festa di S. Marco, il Patriarca: “Lasciarci coinvolgere da Gesù con tutta la nostra persona”. Preghiera per l’Italia: sappia discernere e “vivere nel bene comune”

“Gesù, il Vangelo in persona, ci domanda non qualcosa ma tutto e ci offre in cambio la vera vita, la felicità; in una parola, ci vuole santi”: è iniziata con un riferimento alla recentissima esortazione apostolica di Papa Francesco sulla santità nel mondo contemporaneo l’omelia del Patriarca Francesco Moraglia durante la Messa solenne celebrata la mattina di mercoledì 25 aprile nella basilica cattedrale di S. Marco a Venezia nel giorno della festa dell’evangelista patrono della città e delle genti venete. Ma il Patriarca ha voluto ricordare subito anche la bella esperienza pellegrinaggio diocesano dei ragazzi, appena vissuto ad Assisi: “Siamo ormai alla vigilia del Sinodo dei Vescovi sui giovani; per l’intercessione dell’evangelista Marco chiediamo che i nostri ragazzi possano scoprire la bellezza e il fascino della santità che nasce dal Vangelo. È ancora vivo in me, e in quanti vi hanno partecipato, il ricordo del pellegrinaggio ad Assisi in cui oltre 2200 – ragazzi e ragazze “della cresima” della nostra Diocesi, accompagnati da genitori, sacerdoti, catechisti, insegnanti di religione ed educatori – si sono recati ad Assisi, la città di Francesco e Chiara. Ancora una volta i giovani ci hanno mostrato che sono terra buona per il seme della Parola; è necessario, però, che trovino testimoni della fede che propongano loro percorsi di vita. È stato un gesto significativo, in vista del Sinodo sui giovani, di cui ringrazio il Signore”.

Soffermando poi la sua riflessione (v. omelia integrale nel testo in calce) sulla festa del patrono ha quindi affermato: “L’evangelista Marco raccoglie e trasmette la predicazione dell’apostolo Pietro, colui che Gesù scelse per confermare i fratelli nella fede. Quello di Marco è il Vangelo più breve e si caratterizza per uno stile essenziale e una forma, talvolta, rude; è il Vangelo per chi proviene dal paganesimo. Marco domanda a chi si accosta al suo Vangelo di vivere con tutto il cuore l’esperienza di Gesù morto e risorto, di andar oltre la conoscenza teorica perché non basta leggere o far l’esegesi di un testo; sarebbe addirittura fuorviante leggerlo male e cioè far dire alla Parola quello che uno porta già in sé. Del Vangelo ci si nutre e poi si lascia che la Parola ci assimili. Tale parola risulterà dolce e amara; dolce perché Parola di salvezza, amara perché annuncia le tribolazioni interiori ed esteriori dei discepoli. Bisogna, quindi, entrare in comunione con Gesù, la sua persona, la sua vicenda, la sua storia. Il discepolo entra in tal modo in un cammino che coinvolge la totalità della sua persona che viene letteralmente afferrata”.

“Gesù – ha proseguito mons. Moraglia – non lo possiamo osservare da lontano, come pretendeva Zaccheo che voleva vedere Gesù che passava senza esser visto. Gesù lo vediamo quando rispondiamo al suo sguardo d’amore, quando lo guardiamo da vicino lasciandoci coinvolgere con tutta la nostra persona; vedere Gesù così come Gesù è e non come noi lo immaginiamo o vorremmo che fosse. Quante volte questo accade e quante volte sentiamo e vediamo fuorvianti devianze… Marco, nel suo Vangelo, propone quindi il cammino del discepolato; si diventa discepoli entrando nell’interiorità, andando oltre una comprensione dell’evento cristiano che sia solo esteriore – ossia umana, psicologica e sociopolitica – per giungere alla conoscenza interiore di Gesù attraverso un reale ascolto della Parola, entrando nella storia della salvezza, lasciandoci condurre dalla Parola e non conducendola noi. Il cammino che propone Marco è – secondo il linguaggio biblico – un esodo del cuore, un esodo interiore ma non per questo meno reale. Lo stile di Gesù si esprime, in modo emblematico, nelle parabole che rivelano custodendo; sì, rivelano custodendo il mistero da eventuali sguardi irriverenti o solo curiosi. Le parabole proteggono il mistero e lasciano che si manifesti, dischiudendo il progetto di Dio; alla fine, soltanto chi ha lo sguardo del discepolo può leggere in profondità, ossia in prospettiva sapienziale, il mistero di Gesù e – questo avviene unicamente se ci lasciamo coinvolgere personalmente, a partire dalla preghiera. È quindi entrando in rapporto personale con Gesù, l’unico Maestro, che il progetto di Dio su di noi si chiarisce e, più ci inoltriamo nel Suo progetto crescendo nella fede dei poveri di Israele, la fede di Abramo e soprattutto di Maria di Nazareth, più comprendiamo ciò che prima non aveva senso e rimaneva oscuro e incomprensibile e che ora, seppur non in modo scontato e automatico, si apre alla fede e, fra tenebre e bagliori, ci fa cogliere in modo nuovo quanto prima risultava enigmatico o assurdo e ora, invece, entra a far parte del  mistero, ossia del dono di Dio”.

E nella parte conclusiva dell’omelia il Patriarca, infine, si è così espresso: “Affidiamo noi stessi, le nostre comunità e tutta la nostra Chiesa che è in Venezia all’intercessione dell’evangelista e martire Marco. Invochiamo ancora la sua protezione su tutti coloro che vivono ed operano in questi territori. E rivolgiamo una preghiera ardente anche per il nostro Paese affinché sappia discernere e, quindi, percorrere le strade – oggi necessarie – per vivere nel bene comune, nella giustizia e nella pace”.

Con il Patriarca Moraglia ha concelebrato la Messa solenne a San Marco anche il Vescovo emerito della diocesi australiana di Lismore mons. Geoffrey Hylton Jarrett (in questi giorni a Venezia).

Al momento dell’offertorio, dopo i doni eucaristici del pane e del vino, sono stati portati al Patriarca anche alcuni frutti della terra e della laguna (nonché del lavoro dell’uomo): il pesce giunto da Burano, i prodotti agricoli biologici arrivati dall’isola di Sant’Erasmo, il pane offerto dai panificatori veneziani, i doni della Confraternita della vite e del vino e, infine, gli immancabili e tradizionali “bocoli” offerti dai gondolieri veneziani.