Un nuovo anno ha inizio

Lo scorso 24 ottobre, alle ore 18.30, presso la chiesa di San Nicola da Tolentino, studenti di diversi corsi di Laurea, con docenti e impiegati tecnico-amministrativi delle Università di Venezia, hanno dato inizio all’anno accademico con la consueta celebrazione eucaristica, presieduta dal nostro Patriarca Francesco Moraglia. Per le studentesse e per gli studenti della Pastorale Universitaria, le parole che il Patriarca ci ha destinato nella sua omelia hanno costituito uno spunto di riflessione e dialogo comunitario sul senso dell’esperienza universitaria, di cui vorremmo qui riproporre alcuni punti fondamentali per condividerli con la Comunità Cristiana di Venezia.

Il tema focale dell’omelia è stato il battesimo –su cui ci si soffermerà lungo tutto l’anno pastorale–, sacramento fondamentale per l’esistenza umana nel suo complesso e, dunque, anche per l’esperienza universitaria tanto degli studenti, quanto dei docenti e di tutte le altre figure che animano il complesso mondo dell’Università. <<Il battesimo – ha detto il Patriarca – costituisce la porta d’accesso alla casa comune, la Chiesa, che a sua volta è il sacramento universale di salvezza resa tale da Gesù Cristo, il sacramento “originario”>>. Come primo sacramento, il battesimo è per il Cristiano il segno che apre alla possibilità di essere ammessi alla relazione con Dio, grazie alla mediazione operata dalla Resurrezione di Cristo: è perché si entra, attraverso il battesimo, in una prospettiva di salvezza, che siamo in grado di dire “Padre Nostro” e non soltanto un generico “dio”. Ciò significa che questo sacramento ci apre alla possibilità di essere comunità in Cristo, senza il quale non potremmo conoscere il Padre e, dunque, non potremmo riconoscerci come fratelli (cfr. Gv 14, 6). Grazie alla morte e alla risurrezione di Cristo, la cui grazia governa lo spazio aperto dal battesimo, <<il credente – precisa il Patriarca – non è mai un isolato, anche se conducesse una vita da eremita, e sempre fa parte della Chiesa; ogni suo gesto ha, in forza del battesimo, valenza comunitaria e sociale>>.

Quanto detto sin qui ci aiuta a comprendere come il sacramento del battesimo abbia qualcosa di radicale da dire a proposito dell’esperienza universitaria, poiché apre alla possibilità che quest’ultima coinvolga davvero la nostra umanità. Per noi studenti e studentesse della Pastorale Universitaria di Venezia, il nostro battesimo ci mette dinnanzi alla possibilità di impegnarci, ogni giorno e tutti insieme, a promuovere, nei contesti universitari in cui viviamo, occasioni di conversione e di dialogo, affinché i nostri fratelli e le nostre sorelle che non hanno ancora incontrato Cristo possano, come Madeleine Delbrêl, essere provocati dalla testimonianza di persone vive.

Morti al peccato e rinati in Cristo, come battezzati abbiamo la possibilità di dare un corpo nuovo alla naturale socialità dell’uomo, facendoci promotori di un’Università al cui fondamento vi sia la persona umana. Se, come sosteneva John Henry Newmann – citato da don Gilberto Sabbadin nel suo saluto d’apertura, e dal Patriarca nelle prime battute della sua omelia -, l’università permette a ciascuno di ricoprire al meglio il proprio posto nella vita, allora davvero i Cristiani che vivono l’Università devono rifocalizzare il senso della loro esperienza, affinché possano mettersi al servizio della Verità.

Poiché, come ci ricorda san Paolo nella sua Lettera ai Romani, il battesimo significa morte al peccato e nascita alla libertà dei figli di Dio, liberazione dall’impossibilità di scegliere il bene e apertura alla possibilità di perseguire la giustizia, i Cristiani che vivono l’Università hanno anzitutto il dovere di non rimanere indifferenti di fronte alla disposizione individualista e divisiva che, talvolta, può contraddistinguere anche le pratiche di sapere più elevate; hanno il dovere di mettersi al servizio di un’Università comunitaria, in cui la ricerca della verità possa essere condivisa e non rimanga appannaggio di chi ha superato le pastoie della competizione. Soprattutto i battezzati hanno il dovere di non dimenticare che il sapere – e la possibilità di perseguirlo – è un dono e come tale va vissuto – e condiviso.