Che maggio con la pastorale!


Non la letteratura più famosa, nè quella solitamente conosciuta come “cristiana”: Sigrid Undset, Paul Verlaine, Joseph Roth, forse più noto, e Antonia Pozzi.

 

Nel ciclo di incontri culturali della Pastorale, lunedì 2 maggio è stato il turno della letteratura: la misericordia nella letteratura.

Padre Piero Rizza ha letto e commentato pezzi del romanzo della Undset, “Kristin, figlia di Lavrans”, alcune poesie di Verlaine e della Pozzi, e infine stralci da “Il santo bevitore” di Roth. Una grande occasione per scoprire nuovi libri e autori, che hanno segnato la storia della letteratura e della poesia parlando di misericordia, magari senza aver ancora acquisito la dovuta celebrità, o senza essere stati scoperti nella loro ricchezza.


Lunedì 9 maggio, invece, abbiamo parlato di ecumenismo con don Francesco, incaricato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Venezia.

La domanda da cui abbiamo cominciato, occhi fissi su ciò che sta avvenendo in Russia e in Ucraina, era: qual è o può essere il ruolo della Chiesa in questa situazione di guerra?

Partendo dagli ultimi avvenimenti, don Francesco ha subito premesso che, per giudicare i fatti e in generale per affrontare tale situazione si deve anzitutto “entrare in un clima di preghiera, condivisione e dolore. Quel dolore che caratterizzava il pianto di Gesù su Gerusalemme. Perché non si può ridurre ad un discorso di geopolitica, nemmeno “ecclesiastica”.

Dopo un excursus storico della Chiesa ortodossa, per aiutarci a comprendere la complicatissima situazione ecclesiale di quei paesi, ecco che la domanda successiva diventava: come stare di fronte alle fratture di una Chiesa sempre più divisa, dove quella moscovita, cui la maggioranza dei cristiani ortodossi ucraini ragionevolmente avevano sempre guardato, non agisce attualmente in modo condivisibile?

L’unità – ha risposto don Francesco – si fonda sull’oggettività di Cristo, non è un che di soggettivo o di dipendente dalle circostanze. Il cristiano deve giudicare ciò che è bene e ciò che è male, anche quanto alla Chiesa stessa: così è stato fatto nei confronti della Chiesa moscovita. Allo stesso tempo, però, urge giudicare rimanendo attaccati, in forza di quella oggettiva Unità fondata nel Signore, il Quale mai smetterà di amare e reggere la propria Chiesa, fino all’ultimo giorno: questa è l’unica unica garanzia dell’Unità e della salvezza.

In una simile situazione, dunque, la risposta alla guerra è in primis l’unità della Chiesa, che mai può essere ridotta ad una questione politica o nazionale, al sentimento o all’opinione. Abbiamo quindi pregato per poter riconoscere quella che è la vera essenza della Sposa di Cristo, e per poter favorire tale unità anche noi, qui ed ora.


Martedì 17 maggio – molto in anticipo rispetto all’effettiva fine dell’anno accademico, ma proprio per permettere ai più di essere presenti – è stata presieduta da don Gilberto Sabbadin la Messa conclusiva.

Un’occasione per ringraziare di tutto quanto ricevuto, dei rapporti nati, della bellezza vissuta che non vogliamo finisca mai.

Don Gilberto, commentando il Vangelo, ha parlato della vera pace: è solo Gesù a rendere possibile un simile invito: “non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Forse in questi mesi di cammino e di vera compagnia ce ne siamo resi conto.

E’ proprio la vera compagnia in Gesù presente – ha detto ancora don Gilberto riprendendo la Prima Lettura – ad aver contribuito al fatto che San Paolo,

dopo essere stato lapidato e creduto morto, con i discepoli al suo fianco si potesse rialzare. Come se fosse stata anche la loro presenza a dargli la forza.

A fine Messa, tutti nel giardino degli Scalzi per un aperitivo assieme.

E infine, un brindisi in rima per ringraziare don Gilberto, i Padri carmelitani, Padre Clemente, e tutti quelli che ci hanno accompagnato quest’anno.

 


Giovedì 19 maggio, abbiamo organizzato uno degli ultimi appuntamenti culturali verso la fine dell’anno accademico: una catechesi non convenzionale, ma “in vivo” a partire dal patrimonio per eccellenza di Venezia, i Mosaici della Basilica di San Marco.

Con l’aiuto di don Federico Bertolotto e della storica dell’arte Ester Brunet, abbiamo vissuto un momento spirituale e artistico insieme, concentrandoci su tre momenti centrali per la vita di fede cristiana: la crocifissione, l’anastasis e l’ascensione.

Dopo la lettura del brano corrispondente, la professoressa Brunet ci ha guidati con lo sguardo alla scoperta della Sacra Scrittura raccontata dai maestri mosaicisti bizantini.

È stato impressionante vedere i tantissimi partecipanti, quasi un centinaio di persone, tendere i visi all’insù per lasciarsi invadere dallo splendore dei mosaici e cercare di scovare tutti i dettagli iconografici che Ester spiegava.

Un dettaglio fra tutti, il più eloquente a nostro avviso, è stato quello nell’arco dove è rappresentata l’Anàstasis. Il Cristo, sceso agli inferi per liberarli, afferra Adamo per il polso per portarlo con sé verso la vita eterna. Non lo invita o aiuta ad uscire, lo trascina proprio fuori: la stretta vigorosa, ci faceva notare Ester, rappresenta il fatto che Gesù viene a prenderci carnalmente per tirarci fuori dal peccato, ci soccorre in ogni situazione: è stata proprio questa l’esperienza di Chiesa che abbiamo fatto quest’anno, una salvezza continua, concreta e sovrabbondante.

Non possiamo dunque non raccontarla al mondo, attraverso queste splendide occasioni di fruizione artistica legata alla Fede!

 


Lunedì 23 maggio, Centro Scalzi –  La storia di Padre Clemente

“Sono nato nel novembre del 78 a Timor Est, in una grotta, durante la guerra di invasione da parte dell’Indonesia. Mi hanno chiamato Clemente, perché durante la guerra i miei genitori recitavano tantissimi rosari, e “clemente” era uno degli attributi della Madonna nel Salve Regina. Quando finalmente i miei mi hanno potuto battezzare, tre anni dopo, non si ricordavano più la mia data di nascita. Allora il catechista che lavorava nella parrocchia dei Salesiani ha scelto il 24 maggio, la festa di Maria Ausiliatrice.”
Così si apre il racconto di padre Clemente Moreira, originario appunto di Timor Est, che da meno di un anno è stato trasferito nella comunità dei Canossiani a Venezia presso la Parrocchia di San Giobbe, e che da quasi altrettanto tempo è presente nella Pastorale Universitaria.
In vista dell’imminente ripartenza per l’Asia, padre Clemente ha accettato di raccontare la propria storia in una serata al Centro Scalzi.

Le violenze e gli orrori della guerra in quello che è uno dei paesi “più giovani del mondo” (l’indipendenza di Timor Est è stata conquistata solo nel 1999) , ad un primo sguardo sembrano non aver quasi lasciato traccia sul volto gioioso di padre Clemente. Nessuno dei ragazzi della Pastorale Universitaria se lo sarebbe anzi aspettato, che dietro quella allegra serenità si nascondesse una tale storia.

“Questa, in realtà, è la prima volta che racconto del mio passato ad un gruppo. Le ferite ci sono” – risponde padre Clemente alle domande dei ragazzi – “Sotto la precaria e caotica situazione della colonizzazione del Portogallo i miei genitori avevano perso due figli, e poi la guerra per ottenere l’indipendenza dall’Indonesia ne ha portato via un altro. Gli orrori che abbiamo sperimentato sono indicibili.
Un ricordo che è in me indelebilmente impresso, è quello del mio padre spirituale che, un giorno, di fronte alla terribile situazione della guerra, seduto davanti a me dietro ad una scrivania ad un certo punto ha preso il crocifisso e me lo ha messo davanti, dicendomi: questa – la croce – è l’unica risposta a tutto. Gesù crocefisso è il centro della spiritualità dei Canossiani. L’amore di Gesù crocefisso abbraccia gli oppressi e anche gli oppressori.

Bisogna poi notare che Cristo Risorto le ferite ce le ha ancora. Ed è toccando quelle – anche le mie stesse – che posso poi toccare ed abbracciare quelle degli altri. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina per esempio facevo fatica a dormire, da quanto sentivo vicina la situazione. Poi ho incontrato quattro ucraini rifugiati: lì la mia ferita mi ha aiutato a vedere, capire e abbracciare quelle loro.”

Padre Clemente ha seguito la Pastorale Universitaria praticamente fin dal principio, senza perdersi nemmeno un appuntamento. È partito tutto da un incontro “evidentemente provvidenziale”, come l’ha definito don Gilberto Sabbadin, che per primo lo ha conosciuto “per caso” nel Seminario, proponendogli di partecipare agli incontri della Pastorale Universitaria. Di certo l’altra cosa che ha contribuito all’immediata risposta positiva e all’entusiasmo di padre Clemente, è stata la passione per l’incontro con i giovani, altro punto fondamentale e costante della sua missione:

“Dei Canossiani in particolare mi colpiva il loro stare coi giovani. È una cosa che ho sempre sentito molto mia. Potrei dire infatti di essere stato consacrato religioso per dare la vita per i giovani. Ho fatto il formatore dei seminaristi per undici anni dal 2008, poi sono stato presidente di una fondazione che aiutava i giovani per la loro formazione scolastica e di un’altra fondazione per la missione dei Canossiani. In quel periodo riuscivo ad andare spesso a trovare gli studenti, visto che ero l’assistente spirituale di quattro università.

Mi piace stare con gli universitari. Io penso che la vostra presenza – dice rivolto ai ragazzi della Pastorale Universitaria – la vostra voce e la vostra opinione contino moltissimo nella Chiesa. Credo che voi siate non solo il suo futuro, come spesso si dice, ma anche il suo presente. Le cose che condividete qui, nella Pastorale Universitaria, mi fanno sempre riflettere, le vostre domande mi aiutano a vivere più autenticamente la mia vocazione: è un luogo che davvero cercavo, un “locus theologicus” di condivisione della Fede che ritengo davvero fondamentale anche per voi, nel contesto attuale dove è diffusa una grandissima indifferenza. Quindi quando alcuni parrocchiani mi dicono “non ci sono più i giovani in Chiesa” o “non sono più i giovani di una volta”, io rispondo sempre loro che non è vero che non ci siete, e aggiungo: per fortuna che hanno il loro modo di vivere la Fede, che può risvegliare e far bene anche al nostro!”

Padre Clemente sarà qui ancora per poco: è stato richiamato a Timor Est per formare i seminaristi. Don Gilberto, i padri Carmelitani ed i ragazzi della Pastorale Universitaria l’hanno ringraziato di cuore per la sua testimonianza e per la sua gioiosa presenza, augurandogli di continuare la sua preziosa missione con il fuoco vivo che ha lasciato qui a Venezia.