Intervento del Patriarca alla Salute

Riportiamo l’articolo di Gente Veneta col testo integrale dell’intervento del Patriarca Francesco al Pellegrinaggio dei giovani alla Madonna della Salute, davanti a una piccola delegazione proveniente da varie realtà del Patriarcato. Diversi gruppi hanno partecipato al gesto da casa o in chiesa seguendo la diretta streaming.

Un cordiale saluto a voi, cari ragazzi e ragazze presenti nella Basilica e a tutti coloro che ci seguono tramite la pagina Facebook di Gente Veneta.

Siamo ai piedi della Madonna della Salute per il tradizionale pellegrinaggio. In questo tempo di pandemia, intendiamo presentare le innanzitutto le sofferenze del nostro popolo. Vogliamo presentare le sofferenze e le richieste dei malati, dei loro familiari, dei medici, degli operatori sanitari. Tutti vogliamo “affidarci” alla comune Madre!

Siamo in qui e rappresentiamo tutta la Chiesa che è in Venezia, ne avvertiamo la gioia, la responsabilità.

Con la preghiera del Santo Rosario, chiedendo l’intercessione di Maria, perché ci aiuti a stare sotto lo sguardo di Dio: ci poniamo sotto la protezione di Dio, Padre misericordioso che dal cielo ha cura di ciascuno di noi. Gesù, nel Vangelo, ricorda che neppure un passero cade a terra senza che il Padre lo sappia, poi, aggiunge: “…voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,31).

Il virus continua la sua corsa e sta, letteralmente, “rovesciando” la vita dell’intero pianeta; la vostra generazione è testimone di qualcosa di unico.

Il virus entra nelle nostre vite, se ne appropria, ci obbliga a modificare le nostre abitudini, sconvolge gli equilibri economici mondiali, pone a rischio la coesione sociale e, alla fine, si porta via la vita di molti uomini e di molte donne, giovani e anziani, anche di ragazzi. Ieri, è morta una vostra coetanea di 21 anni.

Sul piano sociale il virus riesce anche a metterci gli uni contro gli altri in questioni vitali della nostra esistenza, allargando il solco tra persone, famiglie e categorie, tra ricchi e poveri.

Covid-19, in poco tempo, ci ha fatto toccar con mano la nostra fragilità personale e sociale, mandando in pezzi il mito del super uomo.

Città deserte, economia in ginocchio, uomini di scienza che si delegittimano ogni giorno fra loro; medici e infermieri spossati, malati che guariscono, ma anche (non pochi) che muoiono in solitudine e nell’angoscia, la stessa angoscia dei loro familiari “tenuti” a distanza.

Una domanda sorge spontanea: ma, allora, l’uomo chi è? Oggi, un essere forte, vigoroso nel corpo e nella mente; domani un povero corpo ansimante che fatica a respirare. Sì, l’uomo è forza e, non dimentichiamolo, è anche fragilità; insieme energia e debolezza.

Pensiamo alla forza di atleti che, i meno giovani di noi ricordano al top della carriera sportiva (con gesti atletici inarrivabili) e, oggi, sono persone anziane che faticano anche a camminare. La stessa cosa vale per attori, cantanti, politici e – nelle nostre famiglie – per genitori, nonni e per i nostri conoscenti.

L’attuale pandemia porta così ad interrogarci sulla questione dell’uomo: la pandemia oggi mette a fuoco qualcosa che ci sfuggiva, l’uomo padrone di tutto che domina ogni cosa e situazione un istante dopo è impossibilitato a vivere gli atti essenziali del vivere, come il respirare.

Una domanda che vale per tutti ma, in particolare, per voi giovani: io, dove sono? A che punto mi trovo? È la domanda del viaggiatore; sì, perché la vita è un grande viaggio.

Ciascuno di noi, nel suo piccolo, è “portatore” di speranza e – possiamo dire – di una benedizione di Dio per sé e per gli altri! Cerchiamo di essere questa benedizione!

Ciascuno di noi è un progetto originale, unico e irripetibile di Dio. Ecco perché nessuno – ma soprattutto voi giovani – mai dovete smettere di sognare e mai dovrete cedere all’idea di non farcela, ripiegandovi su di voi stessi.

Il neo-beato Carlo Acutis – coetaneo di molti di voi e come molti di voi appassionato di web e social – era solito ripetere: “…la tristezza è lo sguardo rivolto a sé, la felicità è lo sguardo rivolto a Dio”.

È come chi si continua a guardare allo specchio e finisce per trovarsi tutti i difetti del mondo; più ci si guarda più ci si scopre pieni di difetti e brutti. Non guardiamo al nostro volto, ma al volto degli altri e guardiamo al volto di Dio nella preghiera, ogni giorno.

Pensiamo alla figura dell’antico patriarca Giacobbe, padre del popolo ebreo. Giacobbe (il suo nome significa: “l’usurpatore”) – per avere l’eredità e la benedizione paterna – inganna, tradisce, “avvelena” i pozzi delle relazioni umane e, alla fine, è costretto a fuggire per evitare l’odio e la vendetta del fratello Esaù.

Così Giacobbe inizia a piedi (secondo l’uso del tempo) un viaggio di 1600 chilometri che lo porterà a Carran. Per intenderci, un percorso equivalente alla distanza che separa Trieste da Agrigento!

Sì, – avete sentito bene – dal confine italiano con la Slovenia, dove arrivano molti immigrati chiedendo di poter avere una vita vivibile, fino alle spiagge siciliane da cui si può guardare verso l’isola di Lampedusa, una terra di sofferenza e di speranza.

Giacobbe è un fuggiasco; il patriarca Giacobbe, perché padre del popolo ebreo, deve lasciare la sua terra perché non ha buone relazioni con nessuno, deve lasciare il suo lavoro e gli affetti più cari e mettersi in viaggio. Giacobbe è un uomo in fuga dal suo passato ma, soprattutto, da sé: è un uomo solo. Ad un certo momento arriva a Luz, che cambierà nome da allora, si chiamerà Betel, nome che significa “casa di Dio”.

È sera e ha camminato tutto il giorno, Giacobbe è stanco perché fugge da tutto e da tutti.

Giacobbe cade in un sonno profondo e fa un sogno. Sogna una scala che unisce terra e cielo e, su cui salgono e scendono gli angeli di Dio.

Quale è il significato del sogno? La scala che unisce terra è cielo è il segno che Dio non ci lascia soli, ma si prende cura di noi anche quando noi ci sente abbandonati, quando avvertiamo solo la solitudine, quando ci sentiamo alla mercé di avvenimenti più grandi di noi. Eppure, nonostante tutto, Dio non ci abbandona!

Questo è il senso della scala che unisce cielo e terra, sulla quale salgono e scendono gli angeli. Gli angeli sono i segni personali della presenza di Dio.

Dio s’interessa a me, soprattutto quando sono provato e sfiduciato e mi sento “separato” dagli altri, incapace di relazioni umane. Sì, Dio è sempre nella mia vita; altrimenti non sarebbe Dio!

Accorgersi di tale presenza vuol dire, allora, riscoprire e rivalutare l’Eucaristia, il testamento di Gesù. Tra Eucaristia e Chiesa c’è un rapporto strettissimo; là dove si celebra l’Eucaristia c’è la Chiesa e solo la Chiesa può celebrare l’Eucaristia.

Nell’Eucaristia smettiamo d’essere individui separati, isolati, diventiamo il “corpo di Cristo”; non più Alvise, Marco, Camilla, Lucia ma “Gesù Cristo in noi”.

Nella terza preghiera eucaristica, il celebrante, ad un certo momento, dopo la consacrazione, dice:

”Guarda [Padre] con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio…” (Messale Romano, Preghiera eucaristica III).

Si menziona – lo notiamo – la Beata Vergine Maria, Sua e nostra madre. Nel cuore dell’Eucaristia si nomina Maria. Oggi, cari ragazzi, siamo ai suoi piedi per chiederLe di aiutarci a riscoprire – dopo le domeniche di lock-down, in cui la comunità ecclesiale non ha potuto partecipare alle celebrazioni – come “Eucaristia e Chiesa “siano un tutt’uno, inseparabili, l’una richiama l’atra.

L’Eucaristia ci fa Chiesa, ossia Corpo (tutt’uno con Cristo) e, quindi, non più soli, alla ricerca delle nostre personali realizzazioni, ma al di là delle culture, del colore della pelle e del taglio degli occhi, delle storie personali, siamo un solo popolo, un solo corpo che nasce dalla Croce, ossia dalla vittoria pasquale di Cristo. Già nel Venerdì Santo, nella Croce c’è questa vittoria.

Ecco perché – proprio in questo tempo di pandemia – dobbiamo riscoprire l’Eucaristia insieme ai nostri genitori, fratelli, catechisti, amici e chiedere al Signore la grazia di poterla celebrare sempre e con gratitudine.

I cristiani di Abitene (l’attuale Tunisia) – siamo all’inizio del IV secolo – dicevano a chi voleva impedire loro di celebrare l’Eucaristia: senza il Signore (Dominico) non possiamo vivere, ossia, non possiamo vivere senza celebrare l’Eucaristia e, proprio per questo, offrirono la loro vita.

La domenica, riscopriamola, è il giorno del Signore perché Gesù è risorto proprio la domenica; viviamo, quindi, la domenica in modo nuovo e in fedeltà al battesimo, come scelta di Gesù nella nostra vita. Ci accorgeremo così degli altri, valorizzeremo il tempo libero e sapremo capire che non tutto si riduce nell’efficienza, nel bel risultato scolastico, nell’essere più belli degli altri, nell’essere più eleganti degli altri.

Carissimi, in modo convinto – non perché obbligati -, nel rispetto pieno di tutti i presidi sanitari di sicurezza, riscopriamo e ritorniamo a celebrare, con gioia, la domenica, il giorno del Signore, in cui la comunità si ritrova insieme attorno all’altare. Sì, la domenica è il giorno del Signore, è il giorno della comunità, è il giorno della festa, della gratuità, è il giorno del perdono (che è così raro nella città degli uomini, nella città degli uomini).

Soprattutto oggi abbiamo bisogno di tornare a lavorare (la città è deserta) ma, per non diventare macchine, abbiamo bisogno anche di riposare, di pregare, di stare in famiglia e con gli amici, perché l’altro è mio fratello.

La Madonna della Salute – chiediamolo in questo pellegrinaggio, da voi vissuto in presenza e da molti vissuto “a distanza” – sia sostegno per noi e per le nostre comunità, per i nostri gruppi ecclesiali, facendo comprendere a tutti il dono grande dell’Eucaristia, la realtà irrinunciabile per ogni discepoli del Signore che voglia essere Chiesa.

E non dimentichiamo che il membro più eminente e più alto che rappresenta la Chiesa è la Madonna. Alla Madonna della Salute ci rivolgiamo con grande fiducia perché indichi le nostre sofferenze al Suo Figlio, come fece a Cana di Galilea.

 

Giovani in preghiera a Quarto d’Altino

 

La diretta dalla Salute trasmessa nella chiesa della B. V. Addolorata di Mestre

 

Giovani in preghiera a S. Marco Evangelista di Mestre

I ragazzi della Gazzera in preghiera nella chiesa di S. M. Ausiliatrice