A. Marangon – Se tu mi ascoltassi

Dai salmi, 50, 95 e 81 (secondo la numerazione della bibbia, cioè il numero più alto), cogliamo qualche indicazione per un’autentica relazione con Dio.

Il culto interiore e la carità

Salmo 50 (49)
Salmo. Di Asaf.
Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente.
Da Sion, bellezza perfetta,
Dio risplende.
Viene il nostro Dio e non sta in silenzio;
davanti a lui un fuoco divorante,
intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall’alto
e la terra per giudicare il suo popolo:
«Davanti a me riunite i miei fedeli,
che hanno stabilito con me l’alleanza
offrendo un sacrificio».
I cieli annunciano la sua giustizia:
è Dio che giudica.
«Ascolta, popolo mio, voglio parlare,
testimonierò contro di te, Israele!
Io sono Dio, il tuo Dio!
Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici,
i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.
Non prenderò vitelli dalla tua casa
né capri dai tuoi ovili.
Sono mie tutte le bestie della foresta,
animali a migliaia sui monti.
Conosco tutti gli uccelli del cielo,
è mio ciò che si muove nella campagna.
Se avessi fame, non te lo direi:
mio è il mondo e quanto contiene.
Mangerò forse la carne dei tori?
Berrò forse il sangue dei capri?
Offri a Dio come sacrificio la lode
e sciogli all’Altissimo i tuoi voti;
invocami nel giorno dell’angoscia:
ti libererò e tu mi darai gloria».
Al malvagio Dio dice:
«Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle?
Se vedi un ladro, corri con lui
e degli adùlteri ti fai compagno.
Abbandoni la tua bocca al male
e la tua lingua trama inganni.
Ti siedi, parli contro il tuo fratello,
getti fango contro il figlio di tua madre.
Hai fatto questo e io dovrei tacere?
Forse credevi che io fossi come te!
Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa.
Capite questo, voi che dimenticate Dio,
perché non vi afferri per sbranarvi
e nessuno vi salvi.
Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora;
a chi cammina per la retta via
mostrerò la salvezza di Dio».

Nei primi sei versetti del salmo 50 Dio convoca cielo e terra per giudicare il suo popolo; non è “privato” il dialogo che Dio fa con l’uomo.

Nei versetti da 7 a 15, con un linguaggio duro, tipico dei profeti, Dio rifiuta i sacrifici di culto: “Non mi interesso dei tuoi riti sacrificali e di tutte le tue liturgie solenni”.

Poi, nei versetti da 16 a 23, Dio dice esattamente che cosa, invece, si attende dal suo popolo: il culto di una vita secondo giustizia. Non basta ricercare un giusto rapporto con Dio, ma la relazione con lui deve esprimersi in un corretto rapporto con l’uomo.

Dunque, secondo il salmo 50, ascoltare Dio che parla provocherebbe una profonda modifica del nostro stile di vita.

Il cuore docile

Salmo 95 (94)
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Perché grande Dio è il Signore,
grande re sopra tutti gli dèi.
Nella sua mano sono gli abissi della terra,
sono sue le vette dei monti.
Suo è il mare, è lui che l’ha fatto;
le sue mani hanno plasmato la terra.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere.
Per quarant’anni mi disgustò quella generazione
e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato,
non conoscono le mie vie”.
Perciò ho giurato nella mia ira:
“Non entreranno nel luogo del mio riposo”».

La prima parte del Salmo 95 presenta un duplice invito a lodare Dio.

Perché adorarlo? Che senso ha andare presso la casa di Dio e rendergli culto?

I primi cinque versetti rispondono: “Perché è il Signore dell’universo”. In quelli successivi è indicato un motivo più profondo: “Noi siamo il popolo del suo pascolo, il popolo che egli conduce”.

Ma un oracolo profetico (versetti 8-11) interrompe l’invito a lodare Dio: “Non indurite il vostro cuore come a Meriba come nel giorno di Massa nel deserto”.

Nella relazione con Dio è fondamentale che ci sia un cuore docile, non bastano i sacrifici e neppure compiere dei gesti liturgici e di adorazione. Il cuore indurito, che si ribella a Dio e non si fida di lui, come il popolo nel deserto aveva contestato Mosè, è capace soltanto di un rapporto esterno e superficiale.

Dare la parola a Dio

Salmo 81 (80)
Al maestro del coro. Su «I torchi». Di Asaf.
Esultate in Dio, nostra forza,
acclamate il Dio di Giacobbe!
Intonate il canto e suonate il tamburello,
la cetra melodiosa con l’arpa.
Suonate il corno nel novilunio,
nel plenilunio, nostro giorno di festa.
Questo è un decreto per Israele,
un giudizio del Dio di Giacobbe,
una testimonianza data a Giuseppe,
quando usciva dal paese d’Egitto.
Un linguaggio mai inteso io sento:
«Ho liberato dal peso la sua spalla,
le sue mani hanno deposto la cesta.
Hai gridato a me nell’angoscia
e io ti ho liberato;
nascosto nei tuoni ti ho dato risposta,
ti ho messo alla prova alle acque di Merìba.
Ascolta, popolo mio:
contro di te voglio testimoniare.
Israele, se tu mi ascoltassi!
Non ci sia in mezzo a te un dio estraneo
e non prostrarti a un dio straniero.
Sono io il Signore, tuo Dio,
che ti ha fatto salire dal paese d’Egitto:
apri la tua bocca, la voglio riempire.
Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce,
Israele non mi ha obbedito:
l’ho abbandonato alla durezza del suo cuore.
Seguano pure i loro progetti!
Se il mio popolo mi ascoltasse!
Se Israele camminasse per le mie vie!
Subito piegherei i suoi nemici
e contro i suoi avversari volgerei la mia mano;
quelli che odiano il Signore gli sarebbero sottomessi
e la loro sorte sarebbe segnata per sempre.
Lo nutrirei con fiore di frumento,
lo sazierei con miele dalla roccia».

 

Nel salmo 81 il verbo più ricorrente è ascoltare: al versetto 9, ascolta popolo mio, al v. 12, il mio popolo non mi ha ascoltato, al v. 14, se il mio popolo mi ascoltasse.

È veramente la chiave di lettura centrale in questo salmo, per il quale ciò che conta non è tanto il dovere sociale, non è neanche la ritualità ben fatta, è il silenzio in ascolto.

È questo l’essenziale della spiritualità biblica.

La nota dominante su cui meditare è proprio: “Se tu mi ascoltassi”

Vogliamo tradurre questa frase? “Se tu, Israele, mi ascoltassi”, ma potremmo anche dire “Se tu, Chiesa d’oggi, mi ascoltassi”, “Se tu, credente della Chiesa d’oggi, mi ascoltassi”.

Mi ascoltassi, come?

Per esempio sospendendo almeno ogni tanto la richiesta che mi fai continuamente di essere tu ascoltato da me. Perché non mancano preghiere di invocazioni, ma silenzi per ascoltare.

“Se tu mi ascoltassi”: un invito

Dio nei confronti dell’uomo non usa l’imperativo.

Dal giorno in cui ha deciso che l’uomo sia una creatura libera, quello di Dio è sempre un appello, anche quando nella Bibbia è trascritto con la forma dell’imperativo.

Pensiamo a Gesù, rivelazione suprema di Dio: si rivolge alle persone sempre con una proposta  e l’approdo alla fede è una festa di libertà, è un uscire, un esodo.

Per arrivare all’atto di fede in un Dio che parla, occorre acquisire concretamente la coscienza che val la pena perdere tempo per aspettare che Dio parli attraverso la Bibbia. Bisogna provare ogni tanto questa esperienza: fissare dei momenti per accostarci alla parola di Dio contenuta nelle Scritture. L’appuntamento biblico, è il luogo privilegiato da Dio per parlare con noi.  La vera esperienza di fede è stare davanti a una pagina, pregando che parli, perché non è detto che Dio automaticamente si riveli. È incontrare un Dio che può anche tacere e che, se parla, sorprende, perché sospende la logica corrente e l’abituale modo di pensare.

Dare la possibilità a Dio di parlare è già tornare creature, cedere il “per primo” a Dio. Il credente nasce quando si pone da creatura davanti al Creatore e accetta di dedicargli del tempo, anche se a volte il testo sembra arido e si ha l’impressione di essere inconcludenti. L’atto di culto sta nel “perdere” un’ora per Dio e non nell’andarsene soddisfatti per aver acquisito un’idea in più.

L’incontro con Dio nella semplicità dell’ordinario.

“Se tu mi ascoltassi”, tu che non trovi risposta ai tuoi perché personali.

“Se tu mi ascoltassi”, Chiesa che non trovi risposte a grandi perché culturali di oggi. Ci vorrebbe proprio nel momento della ricerca intellettuale anzitutto il dialogo silenzioso con Dio, per percepire le priorità di cui non abbiamo intuizione diretta.

“Se tu mi ascoltassi” quando non trovi risposte ai tuoi perché anche ecclesiali: la Chiesa può essere in certi momenti più un interrogativo che una soluzione alla tua ricerca di Dio.

“Se tu mi ascoltassi” non solo nei momenti di “perché”; “se tu mi ascoltassi” quando cerchi il tuo posto nella vita. La tua sistemazione, per quanto generosa, “se tu mi ascoltassi” diventerebbe vocazione. Non c’è generosità più grande di quella di rispondere a una chiamata, e quindi in qualche modo di ricomporre la generosità dentro l’obbedienza. Occorre ascoltare chi chiama, altrimenti progetteremmo magari cose grandiose, ma non abbastanza coerenti col significato della fede.

E possiamo proprio dire, “se tu mi ascoltassi”, tu che hai perso Dio o non lo hai mai incontrato seriamente. Se tu ricominciassi ascoltandomi…

(appunti dalla predicazione di don Antonio Marangon agli esercizi spirituali, Cavallino Ve 2001)