Marco CÈ – Il credente e la Sacra Scrittura

Bibbia e parola di Dio 

Perché ci poniamo il problema del modo con cui il credente legge la Bibbia?

Molti leggono la Bibbia: è un libro di grande interesse. Però per il credente la Bibbia non è un libro qualunque: è parola di Dio. E non è una parola “morta”, registrata o semplicemente consegnata a una pagina stampata, come un qualunque libro di storia delle religioni che ci informa su fatti appartenenti al passato.

Parola viva

È Parola viva, attuale, che Dio pronuncia ora per me ed ha tutta la potenza creatrice della Parola che disse: “Sia la luce” e la luce fu (cfr Gn 1,3). Basti ricordare il profeta Isaia: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11). La lettera agli Ebrei sottolinea: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto” (Ebr 4,12-13).

La Bibbia è quindi una Parola con cui Dio entra in rapporto con noi – un rapporto di comunione, di amicizia e di predilezione – e si rivela nel suo mistero. Quel mistero che la creatura, con la sua ragione, non riuscirebbe a raggiungere.

Per questo, per riceverla non basta l’intelligenza: è necessaria la grazia che apra il cuore a Dio, ci disponga a consegnarci al suo amore: Cfr At 16,14.

Ne consegue che, aprendo la Bibbia, non si ricevono soltanto informazioni su Dio. La Bibbia è offerta reale di incontro. Se si accetta la proposta mediante la fede, si attua l’incontro con Dio nel Figlio Gesù, la Parola che lo rivela e che salva.

La Bibbia è quindi un libro speciale perché a quelle parole Dio ha consegnato se stesso.  E questo per sempre.

Termini non sovrapponibili

Normalmente noi sovrapponiamo “parola di Dio” e “bibbia”: quando diciamo “parola di Dio” intendiamo la bibbia (le sante scritture) e quando diciamo “sante scritture” intendiamo “parola di Dio”.

Questa sovrapposizione non è pertinente. La Bibbia o Sacra Scrittura è certamente “Parola di Dio”; Parola di Dio “scritta”, e scritta “sotto l’ispirazione dello Spirito Santo”, il quale quindi ne è l’autore, anche se, per scrivere, si serve di strumenti umani.

Dio però parla in molti modi, non solo attraverso la parola scritta.

Parla innanzitutto attraverso la creazione, anzi proprio con la Parola apre la storia: “Dio disse: Sia la luce. E la luce fu” (Gen 1,3). San Paolo afferma nella lettera ai Romani: “Ciò che di Dio si può conoscere è (agli uomini) manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,19-20). Certo nella creazione non parla direttamente Dio. Egli dà origine alle cose e la creazione ci dice: se ci sono è perché c’è un Dio che ha creato.

Dio parla anche attraverso la coscienza retta: una luce che egli ha acceso nel cuore di ogni uomo. L’uomo infatti è ad immagine di Dio: nella sua struttura è stampato il progetto di Dio su di lui. La retta coscienza lo legge. Anche questa è una parola indiretta.

A Dio però è piaciuto rivelare la sua vita e il suo mistero ad alcuni eletti come amici. Si è così scelto un popolo fra tutti i popoli, Israele, come destinatario d’una speciale predilezione che, a sua volta, avrebbe dovuto partecipare a tutti i popoli.

Così Dio ha condotto la storia del suo popolo con interventi prodigiosi e con la parola dei profeti: “Affinché Israele lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del salvatore promesso. In tal modo (Dio) preparò lungo i secoli la via al Vangelo” (Dei Verbum, n. 3).

Quando venne il tempo da lui stabilito nel suo piano di salvezza, “Dio, che aveva parlato a più riprese e in diversi modi per mezzo dei profeti, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2; cfr Dei Verbum, n. 4).

Infatti “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Gesù è la parola per eccellenza di Dio, l’ultima e definitiva sua parola. La parola di Gesù, la sua azione, il suo ministero culminante nella Pasqua, sono Parola di Dio. Gesù è il Vangelo di Dio all’uomo.

Gli Apostoli hanno continuato l’annuncio di Gesù e del suo Vangelo.

Il testo scritto

Dio inoltre ha voluto che alcune parole e fatti della storia della salvezza venissero messi per iscritto. Lui stesso, mediante il suo Spirito, ha assistito le diverse fasi dell’opera, perché si scrivesse tutto e solo quello che Lui voleva, al punto da dover dire che Dio stesso è l’autore delle Sante Scritture: certo ne è autore mediante degli autori umani che nella loro opera e nelle sue diverse fasi hanno lasciato il segno della loro libertà e della loro personalità.

Teniamo ferme tre sottolineature:

–  La rivelazione di Dio all’uomo avviene mediante “eventi” e “parole” intimamente connessi (cfr Dei Verbum, n. 2). Quindi essa non passa solo attraverso le parole, tantomeno solo attraverso le parole scritte, che pur mantengono tutta la loro importanza normativa, ma anche attraverso gli eventi, i fatti, la trama storica di tutto ciò che esprime l’umano. Pensiamo a Gesù: egli nella sua persona è Parola di Dio, i suoi gesti, e non solo i suoi discorsi, sono Parola, rivelano il volto di Dio Padre..

– “La sacra scrittura è il parlare di Dio (locutio Dei) in quanto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, è messa per iscritto (scripto consignatur)” (Dei Verbum, n. 9).

La Scrittura è quindi un “atto vivente” che coinvolge:

  • un Dio che parla (locutio Dei) qui e ora;
  • un uomo che mette per iscritto con tutte le risorse e i limiti della sua personalità;
  • la forza viva dello Spirito che agisce.

Per questo il cristianesimo non è la “religione del libro”, ma dell’incontro tra un Dio vivo e un uomo vivo, nell’oggi della storia.

–  Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato come uomo fra gli uomini, è l’evento che compie e completa la rivelazione (cfr Dei Verbum, n. 4).

Dobbiamo ricordare Gv 1,1-18 ed Eb 1,1-2: Gesù Cristo è la Parola di Dio che comprende tutte le parole che Dio dice di sé. Egli è la Parola di Dio incarnata: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato” (Gv 1,18).

Come va letta la Parola di Dio scritta?

Seguo Benedetto XVI in una conversazione col Clero di Roma il 22 febbraio 2007. Il Papa enuclea tre dimensioni secondo le quali deve essere letta la Parola di Dio scritta:

  • C’è innanzitutto la dimensione storica: la Sacra Scrittura deve essere letta nella sua unità e integralità. Le singole parti appartengono a un cammino unitario di rivelazione da parte di Dio e solo vedendole dentro tale cammino unitario, dove una parte spiega l’altra, possiamo capire anche il frammento. Per es.: il libro di Giobbe rimarrà sempre “un’incompiuta”, se non viene illuminato dal Crocifisso, il giusto che soffre. Esemplare è la lettura che Gesù fa della Legge, dei Profeti e dei Salmi ai due discepoli in cammino verso Emmaus il giorno stesso della sua Risurrezione: l’evento della Croce va compreso nella totalità delle Scritture che parlano di Lui.
  • C’è poi una dimensione cristologica: le Scritture hanno una direzione: il loro punto di arrivo è Gesù Cristo e vanno sempre lette nella sua luce. “Il termine (tò telos) della legge è Cristo” (Rm 10,4). Ai Giudei che lo contestano Gesù dice: “Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza” (Gv 5,39). “In Cristo tutte le promesse di Dio diventano sì” (2 Cor 1,20).
  • C’è infine una dimensione ecclesiologica: il cammino delle Scritture è un cammino ecclesiale: le Scritture si formano dentro la storia di un popolo che crede e dentro la storia viva della Chiesa, fino alla morte dell’ultimo apostolo. Dentro questa storia esse rimangono vive e fioriscono: sono Parola di Dio viva. San Girolamo dice: “Scriptura crescit cum legente”. Che significa: quanto più la leggi e penetri con fede nel suo significato, tanto più i suoi profondi orizzonti si allargano: proprio perché è una parola a cui Dio si è consegnato nel suo mistero.

Nel contesto liturgico

Il momento privilegiato per leggere le Sante Scritture, in cui le tre dimensioni si compenetrano, è la Liturgia, in particolare l’Eucaristia.

La Parola di Dio, annunciata ed ascoltata, chiede di farsi Parola celebrata tramite la Liturgia e la vita sacramentale della Chiesa, per entrare così nella vita. In questo modo “crea” una “vita secondo la Parola”, che prende corpo nell’esperienza della comunione, della carità e della missione.

Afferma il Concilio: “Cristo è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium, n.7).

Il primo posto spetta all’Eucaristia, in quanto mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo” (Dei Verbum, n. 21).

Sforziamoci allora di capire il posto e il senso delle Scritture nella celebrazione eucaristica. Essa non è una “sacra rappresentazione”. È un sacramento e, come tale, produce ciò che significa. Gesù nell’Eucaristia è realmente presente, si dona e crea una storia nuova.

Nella messa domenicale  si proclamano tre letture: la prima dall’Antico Testamento, la seconda dagli scritti apostolici, la terza dai Vangeli.

È importante annotare che la Chiesa, tramite la liturgia, riconosce l’Antico Testamento come vera Parola di Dio e afferma un dinamismo che va dalla prima lettura al Vangelo. Il rapporto non è dato dalla somiglianza esterna dei fatti narrati, ma dall’adempimento della Prima Alleanza nella Nuova, secondo quanto dice San Paolo: “Tutte le promesse di Dio in Cristo sono divenute “si” (2 Cor 1,20).

C’è poi una tensione della Parola verso l’incontro, la Presenza: questo nell’Eucaristia si realizza. La Parola di Cristo, punto di arrivo di tutte le Scritture, culmina nella presenza reale del Signore Gesù nell’Eucaristia. Anzi nell’anamnesis [Preghiera Eucaristica] le parole narrative dell’evento dell’Ultima Cena realizzano la presenza del mistero pasquale di Cristo nei segni sacramentali del pane e del vino.

Presenza che, a sua volta, tende alla comunione con Cristo (e per questo i segni scelti da Gesù sono il pane e il vino da mangiare e da bere), una comunione che più di così non si può e questa tende a trasformarci nel Corpo di Cristo, attraverso il quale la sua opera di salvezza va a compimento.

Tutto questo per l’azione dello Spirito Santo invocato perché, dopo aver trasformato il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo, trasformi anche noi, che di essi ci nutriamo, nel Corpo mistico di Cristo.

Una trasformazione che deve diventare vita vissuta, trasformando cioè la storia che ciascuno di noi vive ad immagine e partecipazione della vita stessa di Cristo: “la fusione” fra vita e Vangelo avviene sotto l’azione dello Spirito Santo. In tal modo Gesù diventa “oggi”, diventa “contemporaneo”.

Parola che rinnova

Con la Parola di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, Dio rinnova la vita e la missione della Chiesa, chiamandola ad una continua conversione e inviandola a portare l’annunzio del Vangelo a tutti gli uomini e a tutte le cose, perché “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

“Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni” (Dei Verbum, n.7). Dio quindi parla ancora. In certo qual modo la Rivelazione, che pur è conclusa, continua la sua comunicazione, per cui la Parola di Dio è sempre contemporanea e attuale. Anzi può aumentare ancora di più il suo apporto di luce e far aumentare la nostra comprensione. Ciò avviene perché il Padre, donando lo Spirito di Gesù alla Chiesa, affida ad essa il tesoro della rivelazione (Dei Verbum, n. 26), la rende destinataria prima e testimone privilegiata della Parola amorosa e salvifica di Dio.

Per questa ragione nella Chiesa la Parola non è deposito inerte, ma diventando “regola suprema della sua fede” e potenza di vita, “progredisce con l’assistenza dello Spirito Santo” e “cresce” con “la riflessione e lo studio dei credenti”, l’esperienza personale di vita spirituale e la predicazione dei Vescovi (Dei Verbum, n. 8; cfr n. 21). Lo testimoniano in particolare gli uomini di Dio che hanno “abitato” la Parola” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 825).

Conclusione

Se la Parola di Dio è “viva” va letta nella preghiera, nella luce e nella grazia di quello stesso Spirito che l’ha ispirata. S. Agostino diceva: “Orent ut intelligant”. Per capire bisogna pregare.

Afferma Giovanni Paolo II: “Per arrivare ad un’interpretazione pienamente valida delle parole ispirate dallo Spirito Santo, dobbiamo noi stessi essere guidati dallo Spirito Santo, per questo bisogna pregare, pregare molto, chiedere nella preghiera la luce interiore dello Spirito e accogliere docilmente questa luce, chiedere l’amore, che solo rende capaci di comprendere il linguaggio di Dio, che è amore (1 Gv 4,8.16). Durante lo stesso lavoro di interpretazione, occorre mantenersi il più possibile in presenza di Dio” (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, p. 11).

 

In Cristo tutte le promesse di Dio sono divenute sì”  (2 Cor 1,20)

Il cuore di quanto ci siamo detti nella precedente conversazione è la tensione cristologica di tutta la Scrittura. Vale per la globalità delle Scritture quanto Paolo ha detto dell’Antico Testamento: “il telos della Legge è Cristo” (Rm 10,4). Dove “telos” non dice solo “punto di arrivo”, ma “punto di arrivo che tende ad una pienezza”.

Questo è il senso di quanto dice Gesù quando afferma, polemizzando coi Giudei: “Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza” (Gv 5,39). Potremmo citare anche il Discorso della montagna: “Non pensate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Paolo dice: “La legge è per noi come un pedagogo che ci conduce a Cristo” (Gal 3,24).

Ricordiamo poi quante volte, nei Vangeli, si richiama il fatto che questo o quello accade: “perché sia adempiuta la Parola che dice…”. Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù muore dopo aver detto: “È compiuto” (Gv 19,30), dove il compimento di tutto quanto era detto di lui viene indicato nell’evento della morte: è il Gesù pasquale il compimento di tutte le Scritture.

Spiegò loro le Scritture

Vorrei a questo punto ascoltare con voi un testo nel quale Gesù stesso, il Risorto, ci conduce per mano a leggere nella fede le Scritture: Lc 24,13-53.

Per i due discepoli avviati ad Emmaus la “croce” era stato uno scandalo: se Gesù di Nazaret, in cui avevano tanto sperato, fosse stato il Messia promesso, non sarebbe potuto finire così. Ben altra era l’immagine del Messia da tutti aspettato: egli avrebbe dovuto liberare Israele.

Gesù, pellegrino sconosciuto, si affianca a loro e dopo aver sentito le ragioni della loro tristezza, li rimprovera chiamandoli “tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti. Non bisognava….E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro (dierméneusen) in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (v. 27).

È  bello notare come in questa pagina abbiamo la stessa struttura della celebrazione eucaristica: i due discepoli comprendono le Scritture ascoltando Gesù e arrivano all’Eucaristia. Nella fede, Gesù è presente nell’Eucaristia, come  nelle Sante Scritture.

Gesù si vede sempre e solo nella fede: anche quando era su questa terra nella sua presenza sensibile, per capirlo, occorreva la fede. E di fatto molti lo hanno visto con gli occhi, ma non hanno colto in lui il Figlio di Dio: non l’hanno visto!

Successivamente, anche nell’incontro con gli undici e gli altri discepoli nel cenacolo, il Risorto spiega le Scritture (vv.44.45.46).

Di questo voi mi sarete testimoni

Essere testimoni è un compito grande ed esaltante.

Innanzitutto bisogna dire che lo si è grazie al dono dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Gesù. Quello Spirito che ci rende partecipi della vita stessa di Cristo.

Il Testimone non è soltanto uno che parla di Gesù, ma uno in cui Gesù vive, e che lascia vivere Gesù in lui. La prima testimonianza è la trasparenza di Cristo “nella” e “dalla” nostra vita. E poi essere testimoni significa assumere l’impegno di donare Cristo agli altri.

Gruppi di ascolto

Mi pare bello cogliere quest’ultima parola del Signore come un invito a vivere la grazia dei Gruppi di Ascolto, non solo come un dono di Dio per noi e per quanti vi partecipano, ma come una “grazia” che diventa “compito”, “missione”.

Il che a pensarci bene è proprio della natura della grazia: i doni di Dio in Cristo sono sempre “famigliari”, direi “da consumare in famiglia”, perché Dio Padre in Cristo ci fa fratelli.

Questo non è qualcosa che, se c’è nei Gruppi di Ascolto, tanto meglio; se non c’è pazienza! È  pensabile che ci si nutra della Parola di Dio, si riceva questo grande dono, e non si senta l’ansia di Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16)?!

Nei Gruppi di Ascolto poi c’è una duplice grazia che non può rimanere inutilizzata:

  • essi sono costituiti da laici, che vivono tutta la loro vita in ambienti per lo più non cristiani, in diaspora: come non essere consapevoli che questa è una grande grazia per tutti? La Chiesa in molti posti, per es. ad Antiochia, è nata così: cfr At 8,4; 12,19-21; 8,26ss.
  • I Gruppi di Ascolto si incontrano nelle case, dove si parla il linguaggio di tutti i giorni, dove si è portati a non fare “i dotti”, ma a tradurre il Vangelo nel linguaggio quotidiano e attuale. E direi che è utile anche la presenza di chi non ha pratica di “ecclesialese”, ma parla la lingua corrente, perché è alla vita di tutti che deve essere portato il Vangelo.

Questo dice che i Gruppi di Ascolto devono essere animati da una forte carica missionaria: non nel senso di dover fare il “predicatore”. Qualche volta può darsi e, se si apre l’occasione, è doveroso dare ragione della speranza che è in noi. Ma penso alla globalità e quotidianità della vita di ciascuno, che deve essere salvata. Protagonisti di questa salvezza sono soprattutto i laici, che vivono la loro vita nella storia di tutti.

I Gruppi di Ascolto abilitano a “fondere” la Parola con la storia sotto l’azione dello Spirito Santo e così la storia viene salvata. Penso al lavoro, agli affetti, alla vita civile e politica, ai problemi gravissimi con cui la società deve scontrarsi ogni giorno come le migrazioni … Penso all’impegno per la salvaguardia del creato.

Così intesi, i Gruppi di Ascolto ci dicono che nella  Comunità c’è bisogno della catechesi e di un suo impegno di riflessione culturale, per tradurre la fede nei problemi della storia.

Questo mette in movimento una comunità cristiana viva, che ama la sua storia e gli uomini in mezzo ai quali vive. Proprio com’era Gesù che camminava in mezzo alla gente e non svicolava mai di fronte alle loro sofferenze.

(M. Cè, Ai Gruppi di Ascolto, Villa Visinoni, Venezia – Mestre 19 settembre 2006)