F. Manenti – La speranza del credente peccatore

Il salmo 129 è una domanda di perdono, dove il motivo principale è la speranza. Il salmista è anzitutto consapevole del suo peccato e della propria incapacità a scrollarselo di dosso, ma è altrettanto consapevole della misericordia divina. Grazie a tale consapevolezza la speranza rinasce.

LEGGIAMO IL TESTO

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.
Io spero nel Signore,
l’anima mia spera nella sua parola.
L’anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l’aurora.
Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.

Il movimento del salmo procede in quattro tappe: l’invocazione (vv 1-2); il perdono (vv 3-4); la speranza dell’attesa (vv 5-6); l’invito rivolto a tutti (vv 7-8)

MEDITIAMO

  1. Alla ricerca del volto di Dio

Quale Dio mi rivela il salmo? I tratti del volto di Dio:

  • Presso di te è il perdono (v 4)
  • Presso il Signore è la misericordia, grande presso di lui il riscatto (v 8)

Il perdono appartiene a Dio stesso, al suo modo di agire (Sal 103,3): «E’ lui che perdona tutte le tue colpe, guarisce le tutte malattie, riscatta dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia».

  1. Alla ricerca del mio volto

Si tratta di conoscere me stesso alla luce della parola di Dio: quale figura di uomo, di credente presenta il salmo?

Il salmo disegna la figura del credente peccatore che non resta prigioniero della situazione di morte in cui viene a trovarsi in seguito al proprio peccato (“dal profondo”), ma la supera, rivolgendosi a Dio (“io grido: ascolta la mia voce!”), forte di una certezza (“presso di te è il perdono”) che alimenta la sua speranza (“spero nel Signore”), ravviva l’attesa (”l’anima mia attende il Signore”) e lo spinge a coinvolgere anche altri nella propria esperienza (”Israele attenda il Signore..”).

“Dal profondo a te grido”

Il “profondo” (l’abisso): l’immagine di una situazione negativa e drammatica, determinata non tanto da mali fisici o da nemici, ma dal peccato (Sal 38,5: «Le mie colpe hanno superato il mio capo, sono un carico troppo penaste per me»). In questa situazione l’uomo può incontrare Dio (Lc 18,13: «Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”»). Perché

  • Egli è il Dio che si fa vicino, legato a noi per sempre dall’amore (Dt 4,7: «Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?»; Sal 145,18; 34,19).
  • Dio non ritira i suoi doni. Anche dopo il peccato – la ribellione al Signore, il fratricidio di Caino, il dilagare della violenza – l’uomo può rivolgersi a Lui (Gn 4,26: «Allora si incominciò a invocare il nome del Signore»).
  • Noi in ogni situazione di vita o di morte “siamo del Signore” (Rm 14,7-9), inseparabili da Lui (Rm 8).

La supplica: “ascolta la mia voce”

Non è richiesta di un generico aiuto, ma di un gesto di grazia e di generosa clemenza. Con essa ci presentiamo a Dio, senza vantare meriti o per esibire giustificazioni, consapevoli di quelle che sono le dimensioni fondamentali della vita di fede: la nostra miseria e la sua misericordia (Sal 143,1-2: «Signore ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica… non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto»; Cfr Rm 7,14-25).

Il riconoscimento della propria miseria ci tiene lontano dalla presuntuosa sicurezza (quella del fariseo in preghiera al tempio, Lc 18,11ss) e della sua misericordia ci mette al riparo dalla tentazione di nascondere il nostro peccato, di giustificarlo oppure di ingigantirlo, tanto da ritenerlo imperdonabile. Confessione del peccato: limpido atto di speranza

La grande svolta: l’orante che si trova nell’abisso scopre che “presso Dio” sta il perdono, che il perdono appartiene a Dio.

La scoperta dell’essere perdonati suscita il “timore di Dio”. Il “timore di Dio” non ha nulla a che fare con la paura, perché indica stupore ammirato, riconoscente adorazione e amore alla volontà di Dio (Es 14,30-31: «In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè»).

Il timore di Dio esprime bene quel complesso atteggiamento che è la fede, infuso in noi da Dio come dono promesso con la Nuova Alleanza, che ci rende persone “unificate”, che si muovono nella vita con gioiosa dedizione al Signore e con obbedienza fiduciosa e piena di amore a Lui (Ger 32,38-40: «Essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi. Concluderò con essi un’alleanza eterna e non mi allontanerò più da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore, perché non si distacchino da me»).

Il timore del Signore diventa speranza, attesa fedele del compimento della promessa di Dio (Sir 2,7-9.15-18: «Quanti temete il Signore, aspettate la sua misericordia; non deviate per non cadere. Voi che temete il Signore, confidate in lui; il vostro salario non verrà meno. Voi che temete il Signore, sperate nei suoi benefici, la felicità eterna e la misericordia… Coloro che temono il Signore non disobbediscono alle sue parole: e coloro che lo amano seguono le sue vie. Coloro che temono il Signore cercano di piacergli; e coloro che lo amano si saziano della legge. Coloro che temono il Signore tengono pronti i loro cuori e umiliano l’anima loro davanti a lui»).

La speranza che attende

Il timore del Signore, suscitato dal perdono, produce, quale svolta decisiva, la speranza che sa attendere. Il cammino del credente peccatore subisce una radicale trasformazione: nella situazione di peccato chiediamo a Dio di ascoltarci (v 2); una volta perdonati, abbandoniamo l’attenzione verso noi stessi, per aprirci all’ascolto di Dio, pienamente disponibili a lasciarci determinare dalla sua parola. Non diciamo più “ascolta la mia voce”, ma “l’anima mia spera e attendo la tua parola” (v 5). Liberati dal peccato, siamo attirati da Dio stesso, riconosciuto come approdo definitivo e pacificante dell’esistenza (Fil 3,13-14: «Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta, per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù».

La parola di Dio è capace di promuover l’intera esistenza: sperare non è solo attendere un futuro migliore, ma sperimentare la capacità della parola di Dio di sostenere, di attrarre e di illuminare l’intera esistenza. La speranza del credente si esprime nell’attesa della parola di Dio (“attendo la tua parola”), nell’investimento della propria libertà su quella Parola, la quale, accolta, autorizza questa speranza, costituisce il suo fondamento sicuro (Sal 119,114.81.147: «Tu sei il mio rifugio, il mio scudo, spero nella tua parola! Mi consumo nell’attesa della tua salvezza, spero nella tua parola! Precedo l’aurora e grido aiuto, spero nella tua parola!»).

A noi che viviamo nel tempo dell’attesa, invitati “nel tempo del nostro pellegrinaggio a comportarci con timore” (1Pt 1,17), la parola di Dio è data «come lampada che brilla in un luogo oscuro, cui fate bene a volgere lo sguardo, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori» (2Pt 1,19). Attingendo ad essa “teniamo viva la nostra speranza” (Rm 15,14), “fissiamo la nostra speranza in quella grazia che ci sarà data quando Cristo si rivelerà” (1Pt 1,13).

La speranza che annuncia

Il credente peccatore si sente parte del popolo scelto e amato da Dio (Israele); per questo desidera che quanto ha sperimentato lui sperimentato anche dal suo popolo. Un desiderio che si esprime come invito, esortazione, augurio, rivolto al proprio popolo di cui si sente parte integrante e solidale. Il cristiano non spera solo per sé, ma alimenta la speranza per tutti, sta in mezzo agli uomini come sentinella temprata dalla veglia, dove si è fatto custode di tutti e può rianimare il cuore abbattuto della gente (Is 21,8.10-12: «La vendetta ha gridato: “Al posto di osservazione, Signore, io sto sempre tutto il giorno, e nel mio osservatorio sto in piedi tutta la notte…”. O mio popolo, calpestato, trebbiato sulla mia aia, ciò che ho udito dal Signore degli eserciti, Dio d’Israele a voi ho annunziato!… mi gridano: “Sentinella quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volte domandare, domandate, ma convertitevi, venite!»)

3. Il credente di fronte al peccato

Il salmo indica la modalità credente di porsi di fronte al peccato. Il peccato è una “faccenda seria”, non però disperata, irrisolvibile, perché nel peccato posso incontrare Dio, rivolgermi a lui.

*Come percepisco e vivo il mio peccato, l’essere peccatore?

Le coordinate di un’esperienza credente: il riconoscimento della propria situazione di miseria (“Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?”) e la confessione della misericordia di Dio (“Presso di te è il perdono”).

*La confessione del mio peccato è un “limpido atto di speranza”, gesto di fiducia in Dio?

L’esperienza del perdono mi libera dal ripiegamento su me stesso (non dico più “ascolta la mia voce”), per un ascolto fiducioso di Dio, della sua parola (ma “attendo la tua parola”).

*L’ascolto della parola di Dio “tiene viva la mia speranza”?

Il cristiano non alimenta la speranza solo per sé, per la propria esistenza, ma anche per tutti. Custodisce la speranza di tutti, spera per tutti, perchè, come la sentinella che veglia nella notte, segnala il mattino del compimento delle promesse di Dio.

*Sono una persona che sa “dar ragione della speranza che porta in cuore” (cfr 1Pt 3,15), che dà speranza?

(Franco Manenti, Esercizi spirituali, Cavallino 2015)